Analisi

Piano per Gaza: “Netanyahu ha accettato perché sempre più sicuro di salvarsi”

Stanchezza della popolazione, economia che fatica, pressioni di Trump e una sopravvivenza politica più probabile (amnistia), hanno spinto il premier a dire sì – Anche Hamas, sfiancato e a ranghi ridotti, potrebbe accettare

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RG 12.30 del 30.09.2025 - L’intervista di Giuseppe Limoncello a Francesca Caferri

RSI Info 30.09.2025, 13:19

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Di: Radiogiornale-Giuseppe Limoncello/dielle 

Il piano in 20 punti per la pace a Gaza, proposto dagli Stati uniti, sostenuto da Israele e appoggiato anche dai paesi arabi e musulmani, che premono su Hamas affinché lo accetti, ha raccolto anche il consenso di diverse nazioni europee, ultima nell’ordine la Germania, compresa la Svizzera che – attraverso il Dipartimento Federale degli Affari Esteri – sostiene la proposta di pace duratura, così come ogni iniziativa basata sul rispetto del diritto internazionale.

Le condizioni poste dal piano a Israele appaiono più blande rispetto a quelle stringenti imposte ad Hamas. Per capirne di più, il Radiogiornale ha intervistato l’inviata di Repubblica a Gerusalemme Francesca Caferri, a cui ha innanzitutto chiesto quali possibilità ci sono che Hamas accetti condizioni come la smilitarizzazione totale, una Striscia gestita da autorità straniere e con i palestinesi completamente esclusi, perlomeno all’inizio.  

08:40

L'analisi di Francesca Caferri e Mario Del Pero

Telegiornale 30.09.2025, 12:30

“Le possibilità sono reali. Hamas è arrivato al secondo anno di questa guerra con una fortissima stanchezza, con ranghi ridotti, con rifornimenti quasi esauriti. Non solo, c’è anche la pressione fortissima dei Paesi arabi, del Qatar, ma anche di un Paese vicino e importante come la Turchia. Inoltre Hamas porterebbe a casa una cosa importantissima per loro che è la liberazione di 250 sui 300 ergastolani che sono nelle carceri israeliane. E dunque, giocando forse sull’ambiguità del futuro su promesse che magari non manterrà, Hamas potrebbe effettivamente dire sì a questo piano”. 

Alcuni esperti vedono questo piano come una base per un futuro Stato palestinese al quale però sappiamo che l’estrema destra del governo israeliano si oppone in modo molto fermo. Perché allora Netanyahu ha accettato il piano proprio adesso? Cosa è cambiato in Israele per convincerlo a rischiare di fatto poi la caduta del suo governo, sostenuto proprio da questi partiti di estrema destra? 

“Prima di tutto Netanyahu non ammette che ci sarà uno Stato palestinese nel lungo termine, anche se Trump l’ha detto in maniera molto chiara. Ma anche in questo caso va citata la stanchezza: il 70% della popolazione israeliana non vuole più questa guerra, l’economia si sta facendo molto pesante da sostenere e c’è una pressione fortissima dall’alleato americano Donald Trump, che vuole portare a casa questa questo risultato. E soprattutto si avvicina il 2026, l’anno in cui scadrebbe naturalmente il mandato di Benjamin Netanyahu e le elezioni oggi cominciano a fare molto meno paura, anche perché gli alleati di estrema destra verrebbero facilmente sostituiti - in nome della pace - da quelli di centro e di centrosinistra. Insomma, Netanyahu ha oggi una rete di supporto che non avrebbe avuto mesi fa”. 

Si è spesso detto che Netanyahu fosse contrario ad una soluzione del conflitto anche per evitare i suoi guai giudiziari. Recentemente è stata prospettata l’ipotesi di un’amnistia per il premier israeliano… questo può aver contato? 

Assolutamente. Se il Governo cadrà lui rimarrà al potere in questa prima fase, sicuramente col sostegno degli altri partiti. Se poi si dovesse andare ad elezioni e lui dovesse perdere - cosa peraltro non scontata perché gode di un buono sostegno della popolazione - il presidente Herzog proprio ieri (lunedì, ndr) ha parlato di una possibile amnistia per i processi di corruzione in cui è imputato. Quindi in qualche maniera intorno a Netanyahu si sta creando un network di salvezza che sicuramente lo spinge a dire sì molto più facilmente rispetto a qualche mese fa”.

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