Trent’anni fa, nell’estate del 1995, la città bosniaca di Srebrenica fu teatro di uno dei peggiori massacri in Europa dalla Seconda guerra mondiale. Oltre 8’000 uomini e ragazzi musulmani furono uccisi dalle forze serbo-bosniache. Nedžad Avdić, all’epoca diciassettenne, è uno dei pochi sopravvissuti alle esecuzioni di massa. La sua testimonianza è un potente monito contro il negazionismo che ancora oggi circonda quei tragici eventi.
Nedžad Avdić al Memoriale e cimitero di Srebrenica-Potočari in occasione del ventennale nel 2015
La RSI l’ha intervistato in occasione dell’anniversario di quei terribili giorni. Il suo racconto ai microfoni di “Laser” è un potente monito contro l’oblio e il negazionismo, ricordandoci l’importanza della memoria storica e della riconciliazione in una regione ancora segnata dalle ferite del passato.
Srebrenica, al confine dell'orrore
L’assedio e la caduta di Srebrenica
A trent’anni di distanza Nedžad Avdić ricorda vividamente i giorni che precedettero la caduta di Srebrenica, enclave musulmana sotto protezione ONU: “Era il 6 luglio 1995. Molto presto al mattino iniziò un bombardamento massiccio. Capimmo subito che si trattava di un attacco serio a Srebrenica, non una semplice provocazione come in passato”.
Srebrenica, le testimonianze di sopravvissuti e parenti delle vittime
Telegiornale 11.07.2015, 15:07
Mentre le forze serbe avanzavano, la popolazione civile cercava disperatamente una via di fuga. “Ci siamo divisi andando in direzioni differenti”, racconta Nedžad Avdić. “Mia madre e mia sorella decisero di andare al rifugio delle Nazioni Unite. Mio padre invece si unì al gruppo che tentava di raggiungere la città di Tuzla, in territorio libero”.
Il diciassettenne dovette prendere una decisione cruciale: “Mio padre mi disse Nedžad, devi decidere dove andare’. Furono momenti molto difficili, ma io dissi subito che avrei seguito la colonna con lui”.
Faccia a faccia con la morte
Catturato nei boschi mentre cercava di fuggire, venne portato nel luogo scelto dai soldati serbi per le esecuzioni: “Era la notte tra il 14 e il 15 luglio, in un lago artificiale vicino al villaggio di Petkovci. Il camion si fermò e ordinarono alle persone di scendere a gruppi di cinque. Subito dopo partivano le raffiche di colpi”.
Nedžad Avdić mentre guarda attraverso una finestra della scuola elementare di Petkovci, il villaggio dove fu portato dai soldati serbi
Nedžad Avdić descrive gli ultimi terribili istanti prima di essere colpito: “Quando arrivammo nel terrapieno della diga c’erano file e file di cadaveri davanti a noi. In quel momento capii che stavo per essere ucciso. Cominciai a pensare a mia madre, che non avrebbe mai saputo dove ero finito”.
Colpito da tre proiettili, l’allora adolescente si ritrovò a terra tra i corpi delle vittime: “Intorno si sentivano ovunque grida, gemiti e pianti. Razionalmente dicevo a me stesso che volevo morire, ma inconsciamente volevo sopravvivere”.
La fuga miracolosa
In un susseguirsi di eventi quasi miracolosi, Nedžad Avdić riuscì a fuggire insieme a un altro sopravvissuto: “Ci nascondevamo ovunque, dormivamo nei cimiteri ortodossi, vicino ai ruscelli, nelle case distrutte. Io avevo molta difficoltà a camminare, spesso mi muovevo strisciando per terra”.
Un sopravvissuto
RSI Archivi 13.07.2000, 20:00
Dopo giorni di fuga disperata, i due raggiunsero finalmente la salvezza in un villaggio bosniaco: “Cominciai a piangere, probabilmente perché mi resi conto di essere sopravvissuto. Pensavo che anche mio padre ce l’avesse fatta, ma purtroppo lui non era sopravvissuto”.
La lotta contro il negazionismo
Negli anni successivi, il sopravvissuto di Srebrenica è diventato un testimone chiave per il Tribunale dell’Aja, contribuendo alla condanna di alcuni dei principali criminali di guerra. “Per me la cosa più importante è che la nostra storia venga conosciuta e che il mondo intero venga a sapere cosa è successo qua”, afferma.
Nonostante due tribunali delle Nazioni Unite abbiano stabilito che il massacro di Srebrenica fu un genocidio (il Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia ICTY e la Corte Internazionale di Giustizia ICJ), molti politici in Bosnia e Serbia continuano a negarlo. Per contrastare questa narrazione, Nedžad Avdić ha deciso di tornare a vivere a Srebrenica e condividere pubblicamente la sua storia.
“Odiare non mi fa stare meglio”
“Da quando mi sono esposto, nessuno ha avuto il coraggio di negare la veridicità del mio racconto”, dice. “Sarebbe falso dire che non odio. Sono un essere umano anch’io, ma odiare non mi fa stare meglio. Credo che ci siano molti altri modi per ottenere giustizia senza odiare”.
Identità restituite
RSI Archivi 11.07.2015, 20:00
Guardando al futuro, il sopravvissuto di Srebrenica rimane determinato: “Non voglio andarmene, ma devo pensare anche alla mia famiglia. Sto cercando di convincere mia moglie a restare qui. Vedremo. Però per me andarmene sarebbe decisamente una sconfitta. Quello che è importante è che questo paese sia libero per tutti che tutti noi possiamo vivere con gli stessi diritti degli altri gruppi etnici. Ma oggi siamo molto marginalizzati, non abbiamo diritti, o meglio abbiamo diritti sulla carta ma in realtà non ne abbiamo”.
La situazione è molto delicata. “Oggi si glorificano i criminali, ad esempio ai matrimoni e alle cerimonie vengono cantate canzoni per celebrare i criminali di guerra. Talvolta si invocano persino nuovi crimini - sottolinea nell’intervista alla RSI -. A Srebrenica è diventato parte del folklore locale negare e glorificare i criminali di guerra e i loro crimini, perché dal punto di vista del nazionalismo e dello sciovinismo ciò che è stato fatto qui è visto come qualcosa di positivo, come una cosa buona”.
Le cose sono peggiorate negli ultimi anni “Fino al 2012 circa, la situazione sembrava andare per il verso giusto - sottolinea Nedžad Avdić -. In Bosnia agivano forze difensive e anche perché i negazionisti non potevano contare sul sostegno della Serbia. Ora invece abbiamo Aleksandar Vucic, attuale presidente serbo, che era già uno sciovinista durante la guerra e lo conosciamo bene. Invitò all’uccisione dei musulmani in pubblico, senza alcun pudore. Non è cambiato affatto. Si limita a fingere di essere un pacificatore e i paesi occidentali abboccano, come fecero già con Milosevic”.
https://www.rsi.ch/s/703609