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Una fondazione promette di portare aiuti a Gaza

Registrata a Ginevra, è guidata da un ex marine e agisce di concerto con Israele - ONG e ONU non collaborano, criticata l’indipendenza del progetto - Intanto i raid proseguono, oltre 100 morti nella notte

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RG 12.30 del 15.05.2025 La cronaca da Gaza di Michele Giorgio

RSI Info 15.05.2025, 13:48

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Di: ATS/RG/pon 

Le stragi di civili commesse dall’esercito israeliano si susseguono a Gaza dalla rottura unilaterale della tregua il 18 marzo. I bombardamenti nella Striscia hanno causato 103 morti giovedì secondo un portavoce dei soccorritori locali e il premier Benjamin Netanyahu nelle ultime settimane ha più volte anticipato una nuova operazione militare per prendere il controllo della quasi totalità dell’area. Ma i 2,4 milioni di abitanti continuano anche a soffrire di una situazione umanitaria insostenibile da quando il 2 marzo Israele ha interrotto l’ingresso di ogni forma di aiuto. Lo Stato ebraico sta usando la fame come arma di guerra, ha denunciato anche l’ONU, e organizzazioni come Medici senza frontiere e Oxfam insistono sul pericolo di una carestia di massa. È in questo contesto che si inserisce l’annuncio di una nuova (e tanto controversa quanto misteriosa) fondazione che intende iniziare a distribuire razioni di cibo (da 1’700 calorie per poco più di un dollaro di costo l’una, secondo quanto trapelato) nella Striscia di Gaza a partire già dalla fine di questo mese.

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Controversa e misteriosa perché? Innanzitutto perché non molto si sa della Gaza Humanitarian Foundation, se non che è nata in febbraio, è stata registrata a Ginevra (dove spera di raccogliere fondi) e la settimana scorsa ha ricevuto il formale appoggio statunitense. Washington non ha precisato se vi contribuirà direttamente.

A guidarla è Jake Wood, un ex membro dei marines. La GHF agisce di concerto con Israele, con cui afferma di aver discusso la consegna di aiuti transitori nel quadro di meccanismi esistenti, durante la costruzione di siti di distribuzione sicuri. Afferma di poter garantire 300 milioni di pasti durante una prima fase di 90 giorni, ma riconosce da un lato che il calendario fissato è molto serrato e dall’altro di non potere per ora raggiungere l’insieme degli abitanti di Gaza. Israele avrebbe accettato di aumentare i punti di distribuzione perché tutti siano in grado di raggiungerne uno. Attualmente “l’accesso inadeguato alle zone settentrionali rischia di escludere una parte importante della popolazione”.

Lo Stato ebraico, si ricorderà, aveva accusato Hamas di impadronirsi degli aiuti internazionali distribuiti nella Striscia e di recente ha disconosciuto un’agenzia delle Nazioni Unite attiva nella regione, l’UNRWA diretta dallo svizzero Philippe Lazzarini.

Senza menzionare la GHF, l’ambasciatore di Israele in Francia Joshua Zarka ha detto che la distribuzione di aiuti riprenderà il 24 febbraio, mentre il capo della diplomazia Gideon Saar domenica aveva affermato che il suo Paese “sostiene pienamente” questa iniziativa. “Gli israeliani saranno implicati nel fornire la necessaria sicurezza militare, perché si tratta di una zona di guerra, ma non lo saranno nel trasferimento né nella consegna del cibo”, ha dal canto suo spiegato venerdì scorso l’ambasciatore statunitense a Gerusalemme, Mike Huckabee.

Oltre alla effettiva capacità di raggiungere gli scopi prefissati, i punti critici riguardano l’indipendenza della fondazione, con cui le organizzazioni dell’ONU rifiutano fin qui di collaborare. Il CICR ribadisce che gli aiuti umanitari non devono essere né politicizzati né militarizzati. La Confederazione, ha confermato un portavoce alla SSR, non è finora stata contattata per una collaborazione ma è a conoscenza di contatti con ONG in Israele e con alcuni Stati.

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