Dopo l’accordo sui dazi appena raggiunto tra il presidente statunitense Donald Trump e la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen (accordo ora criticato da più parti, lo ricordiamo), la Svizzera sta sempre aspettando di conoscere il suo destino, mentre ci si chiede quali siano le ragioni di questa attesa.
La Confederazione - va detto - non è l’unica in attesa, è in buona compagnia, perché l’obiettivo dei 90 accordi in 90 giorni che Trump si era posto tre mesi fa è ancora lontano: fra i Paesi in attesa ci sono partner fondamentali per gli Stati Uniti come Messico, Canada e Cina (con la quale è in corso, fra l’altro, un nuovo round proprio martedì).
È però vero che, quantomeno secondo le dichiarazioni più o meno ufficiali di Berna, la Svizzera sembrava avvantaggiata, tanto che la Consigliera federale Karin Keller-Sutter, a inizio maggio, aveva affermato che, dopo la Gran Bretagna (la prima ad aver concluso un accordo), si poteva sperare di entrare nel novero dei Paesi che avrebbero seguito. Non è stato il caso; lo stato dei lavori - se vogliamo chiamarlo così - è fermo al 4 luglio scorso, quando il Consiglio federale aveva sottoscritto una dichiarazione d’intenti tuttora in attesa dell’OK formale dell’amministrazione Trump, a ormai pochi giorni dalla scadenza dell’ultimo termine fissato dal governo statunitense, ovvero il 1° agosto.
Ma in cosa sperano le aziende svizzere e quale potrebbe essere lo scenario peggiore? La premessa è che l’approccio di Trump ha disorientato tutti, fra gli analisti c’è chi sostiene che un trattamento differente (leggasi peggiore) nei confronti della Svizzera rispetto all’Unione europea non avrebbe senso. La forchetta di riferimento è dunque quella che va dal 10% più ottimista (che corrisponde peraltro alla situazione attuale) al 15% più sensato, mentre lo scenario peggiore sarebbe la non-intesa, che significherebbe il ritorno all’annuncio del 3 aprile scorso, quando per la Svizzera il presidente USA aveva annunciato dazi specifici per un complessivo 31%.
Accanto alle cifre non va dimenticato che è importante conoscere al più presto cosa succederà. L’incertezza - come si suol dire - è nemica dell’economia.
Bisogna poi considerare variabili che, per i singoli Paesi, possono davvero fare la differenza. Per la Svizzera (come per l’Europa) i riflettori son puntati sul settore farmaceutico. La speranza è che il settore resti esentato dai dazi (basti pensare che gli Stati Uniti rappresentano più del 50% del fatturato di Roche e circa il 40% di Novartis); senza dimenticare che le stesse case farmaceutiche hanno già annunciato investimenti miliardari oltreoceano, una mossa che secondo alcuni esperti è da leggere come moneta di scambio per scongiurare nuove imposizioni.
Quello farmaceutico, però, non è l’unico settore delicato per la Svizzera che, per quanto può, punta i piedi riguardo all’agricoltura. La questione qui è inversa: i prodotti agricoli sono fra i pochi gravati da dazi all’importazione nel nostro Paese; scelta strategica sacra per la politica svizzera. Si spera non si riveli controproducente nei rapporti con Trump.

Dazi, le conseguenze per la Svizzera
Telegiornale 28.07.2025, 20:00