Eurovision

L’economia dell’Eurovision

Partecipare costa, organizzare costa. Eppure l’Eurovision è ancora un buon investimento, per i paesi europei e (soprattutto) per i cantanti

  • 10 May 2023, 14:17
  • 14 September 2023, 07:01
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Foto di gruppo di alcuni dei partecipanti, scattata al recente Pre-Party di Madrid

Foto di gruppo di alcuni dei partecipanti, scattata al recente Pre-Party di Madrid

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Di: Michele R. Serra

Anche quest’anno, finalmente è arrivata. La prima serata dell’Eurovision è passata, veloce come un lampo: quindici esibizioni in un’ora e mezza, massimo sei minuti secchi per ogni cantante o gruppo, e pochi si sono fatti sfuggire l’occasione di fare una battuta sul confronto con le interminabili, pachidermiche maratone sanremesi. Non che la prima serata di questo Song Contest 2023 sia risultata meno fantasmagorica di quelle del Festival italiano, almeno dal punto di vista estetico, con altissime vette camp raggiunte tra gli altri dai croati Let 3, ovviamente già in finale a furor di popolo. Come del resto Remo Forrer, che invece ha puntato più sulla voce e meno sul kitsch (e non possiamo che esserne felici).

Al di là di ogni considerazione sulla qualità musicale – la musica, lo sappiamo, è solo una parte dello spettacolo Eurovision – questa edizione 2023 è già storica per motivi congiunturali, purtroppo poco positivi: l'Ucraina, nonostante il primo posto dello scorso anno con la Kalush Orchestra, non ha ovviamente potuto ospitare l'evento, passato quindi al Regno Unito secondo nel 2022 con Sam Ryder. Ma non è da sottovalutare neppure il fatto che la crisi energetica globale e quella economica conseguente abbiano portato Bulgaria, Montenegro e Macedonia del Nord a ritirare per la prima volta la loro partecipazione a causa di difficoltà finanziarie. Già, scusate se sembra scontato parlarne (e anche un po’ volgare, visto che siamo tra i nobili del pop europeo), ma: concorrere all’Eurovision Song Contest costa molto. E anche ospitare l’evento. Tanto che viene da chiedersi: ne vale la pena?

Eurovision: costi (sicuri) e ricavi (incerti)

Come sempre quando si parla di eventi mediatici di grandi dimensioni, la risposta non può essere una sola. Le ultime edizioni di Eurovision hanno raggiunto sempre almeno 150 milioni di spettatori (con punte ben più alte) sparsi per 200 paesi, il che equivale a centinaia di milioni di franchi di introiti pubblicitari, e a una grande visibilità per i marchi.
Non stupisce che ogni anno i paesi ospitanti spendano grandi quantità di denaro per lo show, anche se bisogna considerare che il 50% delle spese è a carico di cinque big: Gran Bretagna, Francia, Germania, Spagna e Italia. Non si tratta di paesi fondatori (il primo concorso, trasmesso il 24 maggio 1956, vide la partecipazione di Paesi Bassi, Belgio, Germania, Francia, Lussemburgo, Italia e dei padroni di casa della Svizzera, che ne uscirono vittoriosi), ma semplicemente di quelli più pesanti economicamente, e di conseguenza maggiori contributori dell’European Broadcasting Union.
Anche la “semplice” quota di partecipazione per i singoli paesi dipende dalle dimensioni degli stessi, dal PIL pro capite e dal numero di spettatori che teoricamente guarderanno lo spettacolo. Facendo conti a spanne, alcune pubblicazioni specializzate hanno calcolato che ogni paese spende almeno centomila euro per stare su quel palco.
Un investimento di prospettiva, perché permette di staccare un biglietto per un possibile Eurovision in patria l’anno successivo, che sarebbe capace di mettere in moto una macchina economica che può anche funzionare in perdita nel breve periodo, ma ha un impatto indiretto a lungo termine senza dubbio positivo.
Nel ventunesimo secolo infatti, spesso le nazioni ospitanti hanno sostenuto costi più alti degli introiti diretti provenienti da canoni televisivi e vendita dei biglietti (con alcune eccezioni positive, come ad esempio la Svezia, che nel 2013 riuscì a contenere i costi dell’evento a “soli” 26 milioni di euro, mettendo in piedi un Eurovision tra i più economici della storia recente e restando nelle cifre nere).
Tuttavia, ci sono tante ricadute positive sul territorio, effetti che continuano anche a decenni di distanza. L'Eurovision Song Contest rimane una pubblicità eccezionale per qualsiasi città, soprattutto per quelle meno note: in queste settimane i giornali britannici hanno ricordato spesso il caso della città di Harrogate, nel North Yorkshire, che fu a sorpresa sede del concorso nel 1982, e che diventò grazie ad esso una località termale nota a livello internazionale – in un territorio, quello del Nord dell’Inghilterra, non eccezionalmente turistico.

I cantanti resi famosi da Eurovision

E poi, beh, bisogna mettere sul piatto il ritorno di immagine per i singoli artisti. Magari citando il caso degli ABBA, esplosi grazie a Waterloo trionfatrice nel 1974. O quelli di giovani di belle speranze capaci di scalare le classifiche grazie all’Eurovision, come la "cantante scalza" Sandie Shaw o Johnny Logan (in seguito divenuto unico nella storia a vincere ben due edizioni). Oppure, l’arcinota storia di Celine Dion che vince nel 1988 in rappresentanza della Svizzera. Ma per uscire dalla storia ed entrare nella cronaca, è il caso dei Maneskin a dimostrare come l’Eurovision sia ancora oggi un trampolino di lancio fenomenale. Nei giorni successivi alla vittoria del 2021 infatti, Zitti e Buoni ha superato i 100 milioni di stream su Spotify, e la band ha raggiunto quasi 19 milioni di ascoltatori mensili, superando gente come Muse, Foo Fighters e Pearl Jam.
Tanti stream si spiegano grazie al fatto che oggi sembra sia costituito da appartenenti alla Generazione Z e alle frange più giovani dei Millennial, lo zoccolo duro degli amanti dell’Eurovision. E nella fascia di età che va dall’adolescenza ai trent’anni, ovviamente è lo streaming la modalità di ascolto più diffusa. Un pubblico che non dà grande importanza ai limiti geografici o linguistici, ed è assolutamente fluido anche per quanto riguarda gli stili musicali (e di conseguenza non percepisce come strana una band italiana che fa glam rock).

Dunque, sì, la risposta rimane positiva: vale la pena organizzare un Eurovision, vale la pena partecipare a un Eurovision. Vale la pena perfino guardare Eurovision in TV. Se pure tutto il resto dovesse mancare, potremmo sempre contare su meravigliosi momenti di follia trash-musicale: nel 2022 la menzione d’onore è andata senza dubbio al concorrente moldavo Sasha Bognibov, con la sua estatica (I Just Had) Sex With Your Ex; quest’anno i concorrenti sono già molti, mentre attendiamo fiduciosi la seconda serata.

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