Correva l’anno 1979, e alla fine dell’estate si presenta la possibilità di realizzare una stagione musicale al Teatro Cristallo di Mlano.
Mi metto al lavoro e comincio a riempire le serate e le mattine dei fine settimana tra febbraio e marzo dell’anno successivo con alcuni musicisti che avevo già avuto ospiti nei miei spazi radiofonici: Antonio Ballista, Bruno Canino, Paolo Bordoni, Giorgio Gaslini ed Emilia Fadini, tanto per cominciare. Poi mi avvicino alla Scala e recluto il gruppo dei percussionisti, e mi invento le lezioni-concerto e i programmi di sala scritti dagli stessi protagonisti. Ad un certo punto chiudo con buona soddisfazione il cartellone con 17 appuntamenti, ma mi accorgo che manca qualcosa per dare il massimo risalto alla rassegna: il botto, ovvero una presenza per la quale tutti ne dovevano parlare…Ma certo, dovevo puntare in alto, al direttore musicale del Teatro alla Scala: Claudio Abbado!
Così telefono all’ufficio stampa scaligero, e scopro che Abbado sta provando lo “Stabat Mater” di Pergolesi a Santo Stefano. Linea rossa del metrò, pochi passi, ed eccomi avvolto dalle piacevolissime linee vocali dell’ultima opera del geniale marchigiano.
Il Maestro era lì, a una decina di metri, col suo solito jeans e camicia azzurra-golfblusullespalle che indossava spesso nelle prove. Aspetto la pausa, mi avvicino e mi presento spiegando il motivo della visita: «certamente, si può fare: potrei venire con i 33 solisti dell’orchestra…un Bach inedito e Stravinsky…diamoci del tu, ci vediamo tra qualche settimana!» mi risponde con determinata calma dopo qualche istante e con la piacevole “erre” leggermente arrotolata.
Ricordando Claudio Abbado
Musicalbox 19.01.2024, 16:35
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Fu così che la sera di lunedì 31 marzo 1980 (giorno di riposo per la Scala) il ben numeroso pubblico cercò posto nel Teatro. Abbado uscì in mezzo a quei 33 solisti che due anni dopo sarebbero diventati l’Orchestra Filarmonica della Scala, si sedette al clavicembalo e spiegò cos’era un canone. Poi salì sul podio e diede l’attacco ai Quattordici Canoni dalle Variazioni Golberg del buon Johann Sebastian, da poco ritrovati e in prima esecuzione italiana. Poi Vivaldi e la Suite dal Pulcinella di Stravinsky.
Alla fine, dopo molti minuti di applausi, il pubblico non ne voleva sapere di uscire: andai in camerino e chiesi a Claudio (come oramai lo chiamavo, e come lui voleva essere chiamato) se poteva rientrare in sala. E in pochi minuti tentai qualcosa verso l’impossibile: presi un microfono, lo misi al centro della platea, e pregai l’osannato direttore di rispondere alle domande mie e del pubblico: e così fece!. E in seguito me lo ricordò spesso come qualcosa che non potè mai più ripetere. «Solo per Radio Popolare» mi disse col suo dolce e contagioso sorriso quando gli detti la cassetta con la registrazione di quella più che memorabile serata, che però mancava di quell’unicum finale: il tecnico aveva già scollegato il Revox dall’impianto voce, e io non lo sapevo….
Quello fu l’inizio di una quasi trentennale frequentazione con Abbado in occasione dei suoi concerti a Ferrara, Bologna e Reggio Emilia. E sempre con la massima disponibilità, come al Teatro Comunale per Ferrara Musica: c’era molta attesa per il primo concerto italiano con i Berliner dopo la nomina nel 1989, giornalisti e telecamere da tutto il mondo davanti alla porta dell’Ufficio Stampa, sperando in un incontro col nuovo direttore della compagine tedesca…E io dove ero? ncredibile ma vero: dentro, seduto su un divano, sorseggiando un caffè in una pausa dell’intervista con il buon Claudio: mi ricordo Alessandra, sua figlia, che per tenere a bada i giornalisti, raccoglieva i fogli con le domande alle quali Abbado rispondeva di tanto in tanto dettando le risposte ad Alessandra.
Un altro prezioso incontro con il maestro, quasi l’ultimo, fu a Reggio Emilia nel 2008 in occasione del Fidelio.
Non vedevo Abbado da qualche anno, la malattia e la conseguente operazione allo stomaco avevano rallentato e anche sospeso la sua attività direttoriale. Non potevo mancare, e con una serie di telefonate con il direttore artistico del Teatro Valli riuscii a concordare l’intervista in esclusiva per le radio. Assistetti così ad un paio di prove, e quando entrai in camerino gli dissi subito che avevo intuito una pervasiva felicità aleggiare tra gli orchestrali e i cantanti: ero certo che veniva da lui, dal suo modo di “ascoltare gli altri”, dal suo comunicare la musica, dal suo contagioso e sereno sorriso. E mi rispose proprio con quel sorriso, che così accese la luce nella piccola ma confortevole stanza. Su di un tavolino c’era una porcellana piena di frutta fresca che mi rammentò celeberrime nature morte, e qualche tavoletta di cioccolata fondente: Claudio vide il mio sguardo interrogativo e mi disse che quella era buona parte della sua alimentazione quotidiana: col poco stomaco che gli era rimasto doveva mangiare poco e di frequente, e il cioccolato gli dava buona energia durante il giorno, glielo portava da Zurigo un musicista dell’Orchestra Mahler.
Poi il Fidelio sopravvenne, pochi minuti indimenticabili, forse mezz’ora, altri aspettavano fuori. Ma era un lasso di tempo il cui valore aveva un alto peso specifico. Quei minuti ancora oggi li rivedo e li riattivo, così come tutti gli altri incontri: Claudio Abbado per me non fu solo un consapevole e meraviglioso musicista, ma una terapia, una congiunzione astrale e dialettica tra la musica e il mondo in cui viviamo.
Ci manca, ma c’è stato…
Claudio Abbado
Voi che sapete... 19.01.2024, 10:00
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