È tutto vero. Napoli, finalmente, non vive più nel ricordo dello scudetto vinto 33 anni fa, ma con il titolo di Campione d’Italia 2023 cucito sul petto. E a chi ama il calcio è concesso esagerare, è concesso parlare di epica, di storia, di coraggio, di mitologia calcistica. D’altronde, persino il New York Times ha celebrato questa vittoria di un Napoli mai così vicino e mai così distante dal mito inseguito, ma inarrivabile, di Diego Armando Maradona.
Napoli è una città che ha trovato nella magia a tratti messianica, ma profondamente umana e terrena, di Maradona una dimensione perfetta anche per la sua stessa anima. Una città viva, trasformista, colorata, ma piena di contraddizioni e contrapposizioni, di chiari e di scuri, costantemente in bilico tra la redenzione e il peccato. Un mix culturale di una bellezza sublime, nel senso che davano i romantici a questo termine: un’emozione intensa e violenta, disarmante e e commovente, in grado di scuotere l’animo e il cuore.
E proprio il cuore dei tifosi napoletani ha vissuto (e ancora culla nei ricordi) visceralmente quello che Diego ha dato alla squadra e alla città: la rivincita, l’amore e la passione, gli eccessi, le gioie, le lacrime, i trofei, la lotta popolare contro le élite calcistiche. Esserci, esistere, Diego, un uomo con gli occhi da bambino che palleggia a ritmo di musica e che sconfigge le squadre più ricche e blasonate. Se non è mitologia questa, non sapremmo come altro chiamarla. Gli eroi sono tutti giovani e belli cantava Guccini, per i napoletani Maradona sarà per sempre quel ragazzo con i capelloni ricci, arrivato improvvisamente in un giorno d’estate, immortalato nell’iconico murales nei quartieri spagnoli.
E qui dobbiamo riavvolgere per un secondo il nastro. Il 1990 per chiunque segua il calcio corrisponde alle notti magiche del Mondiale italiano, uno dei più belli di sempre, uno dei più iconici di sempre. Ma giusto due mesi prima dell’inizio di quel Mondiale, Diego Armando Maradona faceva inchinare tutta l’Italia calcistica alla sua classe, alla sua disarmante superiorità, alla sua onnipotenza: il 28 Aprile 1990 portava la sua Napoli sopra tutte le altre squadre a vincere il suo secondo storico scudetto.
Ma c’è un ma in questa storia che profuma di poesia. Per una città come Napoli che ha affrontato scossoni, profonde cadute e straordinarie rivincite, che vive di contraddizioni e contrapposizioni, quel mito è sempre stato tanto magnifico quanto ingombrante. Per chi Diego lo ha vissuto e respirato, non è mai stato semplice rendersi conto che un altro Diego non sarebbe mai più esistito. E come si fa, in fondo, a essere felice per un ricordo così bello, sapendo che non potrà mai avere eguali? È impossibile e forse anche un po’ ingiusto, soprattutto per chi quei novanta minuti li vive con un trasporto emotivo totale, trascinante, vorticoso e vertiginoso.
Fino all’arrivo di un certo Luciano Spalletti. Un veterano della Serie A, uno di quegli allenatori definiti bravissimi perdenti, uno da secondo o terzo posto massimo. Uno scottato da due piazze calcistiche molto difficili: Roma (sponda giallorossa) e Milano (sponda nerazzurra).
Luciano sbarca a Napoli nel 2021, conquista un tiepido quarto posto al suo primo anno e si ritrova Aurelio De Laurentiis, il presidente più amato e odiato della Serie A, che gli vende mezza squadra. Anzi, gli vende la mezza squadra più forte per comprare e scommettere su una serie di giovani giocatori sconosciuti. Roba da far impazzire la già piuttosto movimentata piazza napoletana, ma (come spesso è capitato in questi anni di presidenza) aveva ragione lui visto che il piccolo grande miracolo accade. La squadra, giovane, sbarazzina e un po’ improvvisata, di Spalletti comincia a vincere, vincere, vincere senza fermarsi. Gioca un calcio spettacolare, si fa applaudire da tifosi e avversari e riporta il calcio alla sua dimensione più semplice.

Napoli e il suo terzo scudetto: l'attesa e la grande festa
RSI New Articles 05.05.2023, 07:51
Avete presente i campetti di paese? Avete presente quando si improvvisavano due porte con le giacche e gli zaini dopo scuola? Ecco ai ragazzi di Luciano manca solo che arrivi la mamma a chiamarli perché la cena è pronta e il quadro sarebbe perfetto. Perché giocano spensierati, ma con la consapevolezza che il risultato è una semplice conseguenza di chi scende in campo con quel cuore e quella passione. Ha vinto Luciano, ha vinto contro le squadre più ricche, ha vinto contro le squadre più blasonate, ha vinto per se stesso, ma soprattutto per una città che vive il calcio, che si immedesima, che si lascia trasportare, che gioisce e soffre come poche altre.
E ora che Diego non c’è più, che Maradona è il nome dello stadio San Paolo, Napoli è consapevole di non dover più vivere solo nel ricordo del suo eroe. Ora, inseguire il mito non serve più.