Nel Sopraceneri, a Claro, il giardiniere Marco Maranta, del parco botanico delle Isole di Brissago, e la sua compagna Laura Moretti hanno dato vita a Ullasa, un progetto unico che prende il nome da una parola sanscrita che descrive la sensazione di piacevolezza evocata dalla bellezza naturale. La loro storia è stata raccontata in “Alphaville: le serie” su Rete Due, in una delle cinque puntate di “Lo sai che i papaveri? Sono tornati!”, curate da Alessandra Bonzi.
Creare un orto foresta
Il progetto ha preso forma all’inizio del 2024, quando Marco e Laura hanno deciso di trasformare un ex pascolo in una vera e propria food forest (o orto-foresta), con l’obiettivo di creare uno spazio in cui quasi ogni elemento fosse commestibile. «Abbiamo iniziato mettendo a dimora alberi da frutto – raccontano – come ciliegi selvatici, gelsi, cachi e peri, con l’idea di lasciarli crescere fino a creare ombra e trasformare così il prato sottostante, permettendo la comparsa di nuove specie e dando vita a un ambiente favorevole alle piante da sottobosco». Ma in questo spazio, Marco e Laura non si sono limitati alle specie commestibili: hanno voluto accogliere anche piante ornamentali, come la digitale rossa (Digitalis purpurea), coltivata per il puro piacere di vederla fiorire.
La digitale rossa ( Digitalis purpurea ) è una pianta erbacea le cui parti contengono glicosidi altamente tossici: se ingeriti possono provocare gravi intossicazioni. Nonostante la sua pericolosità, questa pianta ha avuto un ruolo di primo piano nella storia della medicina. Dai principi attivi ricavati dalle sue foglie si sono sviluppati rimedi contro alcuni disturbi cardiaci, come l’insufficienza cardiaca e certe forme di aritmia.
L’uso diretto della pianta in fitoterapia è però stato abbandonato, perché la concentrazione dei principi attivi è difficile da determinare e il margine tra dose terapeutica ed effetto tossico è molto ridotto.
In soli due anni, il progetto ha già mostrato risultati sorprendenti in termini di biodiversità: «Abbiamo visto un incremento stratosferico di animaletti» afferma entusiasta Laura «bruchi di ogni genere e una gamma importantissima di impollinatori, non solo l’ape comune ma anche api solitarie, sirfidi e un sacco di animali particolari che in 20 anni di lavoro non avevo mai visto».
La food forest è una coltivazione multifunzionale, in cui convivono diversi tipi di vegetazione disposti su strati diversi di terreno. Questi livelli interagiscono tra loro in modo sinergico, includendo sia le piante spontanee sia la fauna che abita l’ecosistema. Un orto-foresta può essere realizzato da chiunque: in uno spazio ridotto, come su un terreno di un ettaro o più.
Le pratiche virtuose di Ullasa
Laura e Marco hanno adottato tecniche di coltivazione che rispettano e valorizzano la naturale microbiologia del suolo: «Facciamo tutto senza lavorazione» spiega Marco «qualsiasi progetto agricolo, per far crescere davvero una pianta, deve partire dalla microbiologia del terreno. Noi abbiamo scelto di non comprometterla, ma di praticare un’orticoltura rigenerativa».
La biodiversità nasce anche dal caos: un fermento vitale che, con armonia quasi divina, si trasforma in un mondo complesso e sano
In questo spazio non c’è disponibilità diretta di acqua. Alle spalle di Ullasa si trova una sorgente, alla quale Marco e Laura possono attingere grazie alle canalizzazioni messe a disposizione dal vicino, che generosamente ha concesso loro l’accesso. L’acqua viene usata con parsimonia, solo per lo stretto necessario, con l’obiettivo di avvicinarsi sempre più all’aridocoltura.
Laura è particolarmente affascinata dalle spontanee autoctone, come il verbasco , pianta tipica delle zone temperate dell’emisfero settentrionale, soprattutto dell’Eurasia orientale, nota per le sue proprietà antivirali. Fin dall’antichità è stato utilizzato per lenire ematomi e ustioni e, ancora oggi, le sue foglie, i fiori e le radici trovano impiego nel trattamento di diverse problematiche, tra cui stati infiammatori, asma e tosse.
Laboratorio del gusto
Oltre alla coltivazione, vengono sperimentate diverse tecniche di conservazione degli alimenti. Vengono prodotti, ad esempio, aceti fermentati utilizzando una vasta gamma di ingredienti: dai frutti esotici come la banana, a specie rare provenienti dalle Isole di Brissago, come la Butia capitata e la Jubea chilensis, fino ai licheni: «Il bello della fermentazione acetica» spiega Laura «è che non si ottiene soltanto acido acetico, ma si riescono a estrarre anche le proprietà della pianta».
La casa di Marco e Laura ricorda una drogheria di una volta: oltre a scaffali pieni di bottiglie di aceto di ogni tipo, sono presenti barattoli colmi di frutta secca, petali destinati alle tisane, ortaggi e rimedi naturali raccolti direttamente dal loro terreno. Tra questi tesori colorati spicca una postazione dedicata agli Hoshigaki, un’antica tecnica giapponese di conservazione del caco.
I cachi secchi massaggiati, noti con il nome giapponese Hoshigaki, sono frutti ottenuti tramite un processo antico e laborioso. Il risultato è un caco secco dalla consistenza morbida, quasi simile a un confetto, frutto di una tradizione che si tramanda da secoli.
Il progetto Ullasa dimostra come sia possibile creare un ecosistema ricco e produttivo anche in uno spazio relativamente limitato. Attraverso la pazienza, la conoscenza e il rispetto per la natura, Laura e Marco stanno creando non solo un orto-foresta, ma un vero e proprio laboratorio creativo di biodiversità e sostenibilità.
Fonti
https://rsi.cue.rsi.ch/rete-due/Lo-sai-che-i-papaveri-%E2%80%A6-sono-tornati--2882223.html