da Londra, Lorenzo Amuso
Si chiama hung parliament, letteralmente parlamento impiccato. Si verifica quando nessun partito di sua maestà ottiene la maggioranza assoluta dei seggi di Westminster (326). Un’eventualità piuttosto rara nella storia (politica) del Regno. Dal 1929 è capitato due sole volte. Nel 1974, partorendo un Governo di coalizione dalla brevissima durata (meno di otto mesi). E nel 2010, in occasione delle ultime elezioni. Anche grazie al Fixed Term Parliament Act, che ha stabilito per legge le successive consultazioni nel 2015, il patto di Governo tra conservatori e liberal-democratici ha retto. Con alterne fortune, e reciproci (s)vantaggi.
Comunque un’eccezione, fin solo ad un anno fa. A tre settimane dal voto però la storia sembra destinata a ripetersi. Con i due principali partiti, conservatori e laburisti, davanti - ma non abbastanza - nei sondaggi. Il partito del Premier Cameron insegue, staccato tre punti, il 36% dei Labour. Un distacco ampiamente recuperabile per conquistare la maggioranza relativa. Mentre resta virtualmente impossibile - per entrambe le formazioni - aspirare al 50% e un voto.
Panorama frammentato
Il panorama politico del Regno non è mai stato così frammentato: cinque partiti di peso nazionale (Ukip 13%, Lib-dem 7%, Verdi 5%), uno egemonico su base regionale (l’SNP è atteso all’en-plein nei 59 seggi oltre il Vallo). Il sistema elettorale con cui si vota (maggioritario uninominale) ha sempre favorito i grandi partiti, quelli più radicati sul territorio. Ma neppure questa volta basterà perché dalle urne esca una chiara maggioranza.
Intervista a Phillip Blond, direttore del think tank ResPublica
RSI Info 15.04.2015, 12:21
Durante la campagna elettorale sia i Tory, erosi a destra dall’avanzata degli anti-europeisti dell’UKIP, che i Labour, prosciugati del loro tradizionale bacino elettorale scozzese, sono stati costretti a giocare in difesa. Consolidando il loro elettorato piuttosto che cercare nuovi voti al centro. Cameron ha recitato come un mantra i successi economici del suo governo (crescita del Pil e occupazione), accreditandosi come il premier della stabilità. Ma deve sperare che i lib-dem non tracollino per restare a Downing Street. Impossibile viceversa un accordo con l’UKIP, il partito più penalizzato dal sistema elettorale: significherebbe spostare il baricentro dell’esecutivo troppo a destra, con conseguenze disastrose per i Tory.
Per i Labour, viceversa, c’è l’ipotesi di un Governo di minoranza, magari in coalizione con gli stessi lib-dem (o i verdi), e l’appoggio esterno dell’SNP. In cambio di ulteriori concessioni in termini di devolution, e del disimpegno dei sottomarini nucleari di stanza nella base HMNB Clyde, gli indipendentisti firmerebbero volentieri una tregua con Londra.