Intervista

Data center, “l’Europa ha un ruolo di spettatrice”

Tra la supremazia statunitense e gli altri Paesi che cercano di recuperare terreno, il professor Angelo Consoli ripercorre gli sviluppi di un settore che oggi è centrale nel panorama geopolitico globale

  • 35 minuti fa
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  • Archivio Keystone
Di: Federico Talarico 

I datacenter sono passati da essere semplici infrastrutture di back-end (la parte nascosta di un’applicazione o sito web che ne gestisce la logica, i dati e la parte non locale ma di server) a risorse critiche al pari degli ospedali o delle centrali elettriche. Il 95% del traffico internet passa attraverso i server dei data center, come ha mostrato il disservizio di Cloudflare che negli scorsi giorni ha causato problemi a 30 milioni di siti .

Ne abbiamo parlato con Angelo Consoli, docente-ricercatore, responsabile dell’area di cyber security della SUPSI, per provare a capire le dinamiche geopolitiche dietro alla distribuzione dei datacenter nel mondo.

Cosa ha portato gli Stati Uniti ad avere una posizione così dominante nel campo dei data center? C’è l’intenzione di progredire ulteriormente in questo settore?

“Puntano ad espandersi ancora”, esordisce il professor Consoli. “Gli Stati Uniti hanno permesso e sostenuto il nascere e il proliferare di tecnologie che poi sono state esportate nel mondo, mentre in Europa si è prestata attenzione ad altro e resa difficoltosa la creazione di prodotti e servizi. L’Europa resta un insieme di Nazioni che non necessariamente sono spinte ad essere in sintonia o a collaborare”.

“A questo bisogna aggiungere il fatto che geopoliticamente l’Europa ha sviluppato una dipendenza dagli Stati Uniti per quel che riguarda la quasi totalità della tecnologia dei sistemi informativi. Di conseguenza, ci siamo sempre appoggiati a queste soluzioni facendo crescere quindi la fama degli Stati Uniti verso l’Europa. Questo non è stato il caso di altri Paesi come la Cina, l’India, il Medio Oriente e la Russia, poiché politicamente più forti e meno influenzati dagli Stati Uniti”.

“Quando le tecnologie di questi Paesi, non solo in ambito di data center, cominciano a preoccupare gli Stati Uniti, loro a livello politico internazionale vanno a difendere i propri interessi, trascinando anche il mondo occidentale, andando contro prodotti e tecnologie come quelle cinesi, per fare un esempio”.

Esistono potenziali rivali al dominio statunitense? Se l’Europa dipende dagli Stati Uniti, la Cina è un concorrente papabile?

“Non si ha una visione piena delle strutture di data center cinesi perché tendenzialmente in Europa si conosce solo il mondo occidentale, quello statunitense”, afferma Consoli. “A furia di passi indietro e cattivi investimenti nella tecnologia, l’Europa non è stata in grado di difendere la propria industria: oggi nel mondo dell’information technology ha quindi nettamente un ruolo di spettatrice”.

Tornando alla Cina, “si pensa che ci siano telecomunicazioni molto avanzate. Colossi mondiali come Huawei, Aliexpress o Alibaba (solo per citare i giganti noti anche alle nostre latitudini, ma ce ne sono molti altri) hanno i loro data center di milioni di metri quadrati di superficie. Nonostante siano meno conosciuti, hanno una potenza di calcolo altrettanto valida, per rapporto a quella americana”.

“Anche in Europa sta nascendo da qualche anno in certe Nazioni una cultura di data center interni al Paese. Data center nazionali o internazionali, ma creati e mantenuti da entità europee”.

Il fatto che la proprietà dei data center sia nelle mani di aziende private rappresenta un fattore di rischio?

“Mi piace sempre citare la mappa globale dei rischi stilata ogni anno dal World Economic Forum. Nel 2021 emerge ovviamente il rischio di pandemia, che prima non era considerato, ma compare soprattutto la digital power concentration. Si riconosce quindi un rischio per la società nel concentrare nelle mani di poche aziende - quindi di pochi multimiliardari - la potenza di calcolo e soprattutto la gestione dei nostri dati”.

Il blackout di Cloudflare ne è un esempio: “Da una parte si ha avuto prova di cosa voglia dire quando uno di questi colossi va giù, dall’altra ci si è resi conto che il comune cittadino non li conosce nemmeno (Cloudflare era un’azienda poco nota fino al disservizio). In realtà non conosciamo nemmeno quali sono le aziende che gestiscono i nostri dati”, conclude il professor Consoli.

I data center non sono cloud

“I data center sono delle strutture generalmente appartenenti a entità private che offrono la possibilità di gestire dati di terze parti e la loro connettività ad internet”, spiega il ricercatore. “In un data center si può andare a porre i propri dati o a portare addirittura i propri server, che vengono poi esposti e gestiti in internet”. 

“Vengono talvolta confusi con il cloud. Il cloud non è più un data center localizzato ma qualcosa venuto in seguito. Permette di distribuire servizi su diversi data center aumentandone l’affidabilità e le performance. Il concetto di cloud è arrivato quando aziende come Amazon o come Google verso la fine del primo decennio di questo millennio si sono trovate con molte infrastrutture e potenza di calcolo non utilizzata. Questo ha stimolato l’idea di creare servizi nuovi ridondati che oggi utilizziamo tutti. Il cloud non può essere definito un’entità fisica localizzata come un data center, ma piuttosto si tratta di un’ampia rete di infrastrutture remote distribuite geograficamente e connesse tra di loro per lavorare come un unico ecosistema”.

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Virginia, la capitale dei data center

Telegiornale 23.11.2025, 20:00

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