Cronaca

Dougan sotto torchio al Senato USA

Si è svolta la deposizione sulle accuse di complicità in evasioni fiscali. Il presidente di Credit Suisse ammette scorrettezze da parte di dipendenti, ma sostiene che il management non ne era a conoscenza

  • 26 February 2014, 19:07
  • 6 June 2023, 11:55
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Brady Dougan nel corso della sua deposizione a Washington

  • KEYSTONE

Ci sono state scorrettezze, da parte di alcuni dipendenti, ma la dirigenza della banca ne era all'oscuro. È questa, in sintesi, la sostanza della deposizione di Brady Dougan di fronte alla sottocommissione del Senato statunitense, che accusa Credit Suisse di complicità nelle evasioni fiscali imputate a facoltosi cittadini americani.

"È anche chiaro che alcuni bancari operanti in Svizzera sembrano aver aiutato i loro clienti statunitensi a occultare redditi e patrimoni", ha dichiarato il presidente della direzione di Credit Suisse. La dirigenza della banca - ha aggiunto Dougan - deplora tali comportamenti e se ne assume la responsabilità nonostante non ne fosse a conoscenza.

Nel corso dell'audizione Dougan ha risposto alle domande insieme al capo dell'ufficio giuridico Romeo Cerutti e ad altri due alti responsabili di Credit Suisse. Secondo il presidente della direzione, soltanto un gruppo di 10-15 bancari avrebbe deliberatamente violato, con le attività contestate, le disposizioni interne di Credit Suisse.

Toni severi da parte dei parlamentari inquirenti

I due senatori inquirenti - il democratico Carl Levin e l'ex candidato repubblicano alla Casa Bianca John McCain - non hanno risparmiato toni duri nei confronti degli interrogati. "La conclusione è che Credit Suisse era implicata come UBS e che si è resa responsabile di frode fiscale, sia in Svizzera che negli Stati Uniti", ha dichiarato Carl Levine all'inizio dell'audizione.

I senatori si sono espressi con severità anche nei confronti del Governo statunitense, accusato di aver privilegiato con Credit Suisse la ricerca di una soluzione diplomatica, rispetto ai procedimenti giudiziari. Attualmente solo 238 nominativi - su un insieme di quasi 22'000 conti riconducibili a clienti americani - sono stati trasmessi alle autorità di Washington.

"Ciò significa che perdiamo miliardi di dollari in entrate fiscali ed è inaccettabile", ha tuonato il senatore democratico. Gli inquirenti sostengono che dipendenti di Credit Suisse si sarebbero recati a più riprese negli Stati Uniti, con l'obiettivo di attirare clienti americani utilizzando "pratiche degne dei libri di spionaggio", ha dichiarato John McCain.

"Non siamo rimasti inattivi"

I responsabili della giustizia statunitense, ascoltati dagli inquirenti dopo la deposizione di Dougan, hanno da parte loro respinto le accuse di passività. "Il fatto che non divulghiamo ciò che stiamo facendo non significa che non si lavori attivamente su queste vicende", ha dichiarato il viceministro della giustizia James Cole.

L'obiettivo, ha sottolineato, consiste nell'accumulare prove per costituire un solido dossier penale contro le banche nel mirino degli inquirenti. Cole ha inoltre sottolineato che dal 2008, dopo la vicenda che coinvolse UBS, più di 43'000 contribuenti hanno volontariamente dichiarato al fisco di detenere conti segreti. Ciò ha portato al recupero di più di 6 miliardi di dollari, fra imposte arretrate, multe e interessi.

Red.MM/ATS/AFP/Reuters/ARi

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  • RG 18.30 - Il servizio di Marzio Minoli

    RSI Cronaca 26.02.2014, 19:39

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I contenziosi bancari fra svizzera e stati uniti

La deposizione del CEO di Credit Suisse Brady Dougan rappresenta l'ultimo capitolo di una serie di contenziosi fra Stati Uniti e Svizzera risalenti al 2008, quando Bradley Birkenfeld - ex collaboratore di UBS - ammise in sede giudiziaria di aver aiutato clienti a frodare il fisco, quando era alle dipendenze della banca. Sull'onda della vicenda, la Svizzera accettò nel 2009 di trasmettere a Washington i dati su 4'450 conti di UBS, che dovette pagare una multa di 780 milioni di dollari. Nel 2011 finirono al centro delle indagini statunitensi altri istituti, fra i quali Credit Suisse, Julius Bär e la Banca cantonale di Zurigo. La Confederazione si impegnò nel 2012 a fornire agli Stati Uniti assistenza amministrativa su questioni fiscali, anche nel caso di domande raggruppate. Lo scorso anno, dopo la bocciatura parlamentare del disegno di legge noto come "lex USA", Berna e Washington siglarono l'intesa volta a permettere alle banche di aderire ad un programma unilaterale imposto dagli Stati Uniti: in base al medesimo, le banche che hanno violato il diritto fiscale americano possono evitare insidiosi procedimenti penali, pagando però sanzioni molto onerose. Alla fine del 2013, vi avevano aderito 106 istituti.

L'approfondimento di modem

Alla radio, l'edizione di Modem di giovedì 27 febbraio sarà incentrata sulla vicenda che vede coinvolta Credit Suisse e farà il punto, più in generale, sugli accordi e i contenziosi di natura fiscale fra Svizzera e Stati Uniti

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