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Venezuela, Maduro sempre più sotto pressione dagli Stati Uniti

Trump continua a giustificare la sua presenza nei Caraibi con la guerra al narcotraffico, ma nel frattempo ci si interroga su dei possibili secondi fini

  • 3 novembre, 17:55
  • 3 novembre, 18:28
Il presidente venezuelano Nicolas Maduro
30:45

Venezuela, venti di guerra

Modem 03.11.2025, 08:30

  • Archivio Keystone
Di: Modem-Agata Galfetti/feta  

Il Venezuela è un paese del Sudamerica che sta vivendo un momento di forte contrasto con i suoi avversari storici: gli Stati Uniti. Questi ultimi, da settembre hanno attaccato letalmente in acque internazionali navi di presunti narcotrafficanti col pretesto di aver intrapreso una guerra alla droga e accusando il presidente Nicolas Maduro di essere a capo delle operazioni di narcotraffico. L’ulteriore dispiegamento di forze militari statunitensi nel Mar dei Caraibi suggerisce che gli attacchi non sono finiti e aumentano i dubbi che il fine ultimo non sia la guerra al narcotraffico ma un tentativo da parte degli Stati Uniti di aumentare la propria influenza in America latina. Ne ha parlato a Modem Agata Galfetti con il collaboratore RSI dal Sud America Emiliano Guanella, con il professore di Storia del Nord America all’Università di Torino Marco Mariano e con il criminologo Vincenzo Musacchio.

La situazione interna in Venezuela

La tensione in Venezuela aumenta, nonostante Trump abbia negato la volontà di entrare in guerra con lo Stato sudamericano. “Maduro ha detto ‘noi siamo pronti a una guerra e denuncio davanti al mondo questa ingerenza’”, riporta Guanella, “ha chiamato addirittura la milizia bolivariana, milioni di civili che sarebbero pronti a difendere la rivoluzione”. Il collaboratore RSI afferma che Maduro ha paura, “paura di affrontare la più grande potenza militare del pianeta”, questo si riscontra con un aumento della repressione interna, già forte nel corso del suo governo.

Guanella ha pure ricordato che da domani scadranno i 60 giorni previsti dalla legge statunitense entro i quali un’operazione militare deve essere approvata dal Congresso. Trump in questo senso ha negato di starne svolgendo una, bensì una “lotta al narcotraffico”. “Io credo che sia più che altro una guerra psicologica”, asserisce Guanella, “guerra psicologica proprio fatta mostrando i muscoli, mostrando l’apparato militare per far avere molta paura ai generali: la vera classe dominante del Venezuela. Cosicché sia dall’interno che si provochi un cambiamento di regime”.

L’effettivo ruolo del Venezuela nel narcotraffico

Ad alimentare i sospetti della messa in pratica di una guerra psicologica sono le giustificazioni degli attacchi e dello schieramento di una flotta così imponente. Il Venezuela ha effettivamente un ruolo chiave nel traffico di stupefacenti verso gli Stati Uniti? “I dati che ci vengono forniti proprio dagli Stati Uniti ci dicono esattamente il contrario”, sancisce Vincenzo Musacchio, “non è la cocaina il problema principale degli Stati Uniti, ma sono il fentanyl e gli oppiacei, il 60% delle morti che avvengono negli Stati Uniti sono per causa di sostanze stupefacenti di tipo chimico”. Secondo il criminologo, “il problema vero del narcotraffico internazionale in quell’area è portato dalla Colombia e dal Messico, sicuramente non dal Venezuela”.

“Il Tren de Aragua esiste dagli anni 80 ed è un cartello che aveva una matrice politica”, chiarisce il criminologo in merito alle organizzazioni criminali venezuelane. “Il Cártel de los Soles sarebbe invece composto da militari, con a capo il presidente Maduro. Questa cosa non è mai stata riscontrata oggettivamente, sembra quasi più un pretesto”. Infatti, secondo Musacchio, “i cartelli che operano in quell’area e che hanno il vero potere nel traffico internazionale sono quelli colombiani e quelli messicani che si servono sicuramente del territorio venezuelano, ma per lo più per esportare in Europa”.

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Attacco statunitense a una nave di presunti narcotrafficanti

RSI Info 03.11.2025, 17:54

L’espansionismo statunitense

“Gli Stati Uniti vogliono tornare da queste parti”, dichiara Emiliano Guanella, “il Venezuela è un primo banco di prova interessante”. “I tre più grossi paesi politicamente, geograficamente, economicamente dell’America Latina”, continua, “hanno in questo momento governi di sinistra che respingono queste operazioni militari: il Brasile di Lula, la Colombia del progressista Petro e il Messico di Claudia Sheinbaum. L’anno prossimo ci saranno elezioni in Brasile e in Colombia, sicuramente a Washington stanno facendo i calcoli per far sì che più Paesi della regione ritornino sotto la loro influenza”.

“Mi pare che da parte statunitense ci sia il tentativo di riattivare strategie imperiali che nell’area hanno una lunga tradizione”, afferma Marco Mariano d’accordo con Guanella, “Il Venezuela mi sembra il bersaglio ideale, si tratta di un regime piuttosto indebolito rispetto al passato, più isolato, che gode di una pessima stampa - direi con buone ragioni - e dunque sembrerebbe il teatro ideale per una dimostrazione di forza di quelle che piacciono a Trump”.

“Mi pare che a Trump piaccia molto creare crisi per poi dire al pubblico internazionale di averle risolte”, riflette Mariano in merito alle minacce espansionistiche statunitensi, “c’è una valenza fortemente performativa di questa sua diplomazia e non escludo che il Venezuela possa rientrare anche in questa logica”. Secondo il professore, “questo Make America Great Again ha un valore fortemente nostalgico in una serie di ambiti, compreso quello della restaurazione di un impero statunitense nelle Americhe. Ed ecco che quindi la crisi venezuelana potrebbe prestarsi a una logica di questo tipo”.

Un F/A-18 statunitense in fase di decollo da una portaerei nel golfo Persico
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Venezuela, venti di guerra

Modem 03.11.2025, 08:30

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