Il primo marzo scorso la sala 2 del bellissimo Auditori di Barcellona era strapiena di un pubblico entusiasta, che ha applaudito a lungo la Music for 18 Musicians di Steve Reich, eseguita da un gruppo vocale e strumentale formato da Frames Percussion (quattordici strumentisti di diverse provenienze, impegnati alle percussioni ma anche a pianoforte, violino, violoncello e clarinetti) e da Synergy Vocals (le voci di Caroline Jaya-Ratnam, Amanda Morrison, Rachel Weston, Heather Cairncross).
In locandina erano annunciate anche le luci di Cube.Bz, incaricate di animare visivamente lo spettacolo. Forse non erano del tutto necessarie: il brano, che dura circa un’ora, senza interruzioni fra le varie sezioni, ha una sua gestualità non solamente sonora, fatta dei movimenti evidenti e necessari dei percussionisti (soprattutto al vibrafono, la marimba, lo xilofono), ma anche dei segnali che i musicisti a turno si scambiano.
Esiste anche una direzione, diciamo così, “ufficiale”, quella di Micaela Haslam, ma la direttrice è rimasta nascosta per tutto il pezzo, salvo partecipare meritatamente ai ringraziamenti alla fine, come di solito si usa per un regista, per un coreografo. Music for 18 Musicians è un brano del 1974, al culmine della traiettoria di quello che gli studiosi chiamano “minimalismo rigoroso” (e prima del post-minimalismo).
Reich lo scrisse per un ensemble generico di professori d’orchestra, non per il suo gruppo – fino ad allora Reich e Glass componevano solo per i rispettivi ensemble – e anche per questo è diventato uno dei pochi brani del minimalismo storico a essere entrato nei repertori orchestrali. Forse non ce ne sarebbe bisogno, ma si deve ricordare che nessuno dei principali musicisti associati a questa etichetta stilistica ha mai accettato il termine “minimalismo” (inventato da Michael Nyman in un saggio critico), e Reich in particolare ha preferito parlare di “musica processuale”, un metodo compositivo che si offre alla comprensione anche senza ricorrere all’analisi della partitura (come invece accadeva per le avanguardie contemporanee europee), e in cui il processo è determinato da una logica interna, udibile, non da un’urgenza espressiva.
Un progetto antiromantico, del resto non del tutto lontano da Webern o dal serialismo integrale. Qui però i riferimenti sono il gamelan, Pérotin, e ovviamente In C di Terry Riley, di dieci anni prima, alla cui prima registrazione Reich aveva partecipato. Là dove nel pezzo di Riley è soprattutto il caso a disciplinare un caleidoscopio armonico-timbrico, in Music for 18 Musicians tutto è previsto, anche gli effetti psicoacustici. Un classico del Novecento? Gli ascoltatori barcellonesi, molti dei quali non erano ancora nati quando Reich scrisse la sua partitura, ne sono parsi molto convinti.