La storia di Pink Floyd a Pompei è una sorta di favola rock, tormentata come tante favole ma con un lieto fine. Al principio c’è un giovane regista britannico, Adrian Maben, che alla fine degli anni ‘60 traffica in quelli che ancora non si chiamano videoclip, intuendo che il futuro sarà delle immagini mescolate alla musica. Gli piacciono i Pink Floyd, che ancora non sono le super superstar che conosciamo ma artisti sensibili con belle idee d’avanguardia, e propone loro di girare un documentario accostando la loro musica a immagini di artisti affermati come DeChirico e Magritte e anche nuovi, come Tinguely e Christo. La proposta cade nel vuoto ma Maben insiste, ispirato da un fortunato incidente. Durante una vacanza italiana è stato a Pompei per una visita turistica. Sulla via dell’albergo si è accorto di aver perso il portafogli ed è tornato a cercarlo all’anfiteatro, chiedendo ai guardiani il permesso di entrare dopo l’orario di chiusura. Il portafogli non lo trova ma quella visita al tramonto è fatale, con l’anfiteatro deserto così imponente e suggestivo. L’idea gli sorge spontanea; un concerto in quel luogo antico ed eterno, con i Pink Floyd soli, senza pubblico, evitando così anche il paragone con l’ormai troppo famoso film di Woodstock, anzi, ribaltando il confronto nel segno del paradosso.

Pink Floyd: Live at Pompeii - con Riccardo Bertoncelli (Montmartre, Rete Due)
RSI Cultura 02.05.2025, 17:00
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I Pink Floyd accettano la proposta ma pongono una condizione fondamentale; vogliono suonare dal vivo, senza playback, il che significa trasportare a Pompei tutta la loro attrezzatura da concerto, oltre a un impianto per la registrazione a 24 tracce per ottenere la qualità sonora che è il loro tratto distintivo. Si può fare, si fa, pur con mille problemi e guai, come raccontato da Nick Mason nell’autobiografia di Inside Out e più nel dettaglio dai Lunatics nel fondamentale libro Pink Floyd a Pompei. Una storia fuori dal tempo.
Siamo a ottobre del 1971, i Pink Floyd stanno per pubblicare Meddle e hanno già nuove idee che poi fioriranno con The Dark Side of the Moon, il disco della clamorosa svolta commerciale. Non hanno troppo tempo da dedicare al film e in effetti quando lasciano Pompei, dopo quattro giorni di lavoro e tre soli pezzi registrati, Maben scopre di non avere materiale sufficiente per chiudere il lavoro. Chiede allora un supplemento di riprese, che avviene a Parigi a dicembre, per una settimana. Lì il regista filma altro materiale, fra cui il curioso rifacimento di un brano di Meddle, Seamus, che per l’occasione diventa Mademoiselle Nobs: la mademoiselle in questione è una femmina di levriero russo che “canta” un blues, accompagnata da Roger Waters alla chitarra e David Gilmour all’armonica.
Anche così il film continua a essere troppo breve e Maben all’inizio del 1973 è costretto a un terzo round, raggiungendo a Londra i Pink Floyd impegnati nelle estenuanti registrazioni di Dark Side of the Moon. Lì il lavoro viene finalmente completato, per una uscita estiva nelle sale che finisce per coincidere con la “Pink Floyd mania” esplosa grazie al nuovo LP, che va in testa alle classifiche di tutto il mondo. Film e album in realtà si completano; nelle immagini di Maben ci sono i Pink Floyd della prima parte della storia, quelli di Echoes, di Careful with That Axe Eugene, di Set the Controls for the Heart of the Sun, più visionari e psichedelici della band in missione sulla Luna. Non è ancora finita, tuttavia, perché l’inquieto regista prepara nel 1974 un altro montaggio del film e lì stabilisce un collegamento fra passato e presente, aggiungendo frammenti di due brani di The Dark Side, Us and Them e Brain Damage. Farà ancora di più nel 2003, con un “director’s cut” arricchito da animazioni di computer graphic inserite nel montaggio originale.
Arriviamo a oggi. Fosse stato per Adrian Maben, la versione 2025 di Pink Floyd at Pompeii sarebbe stata ancora più ricca, ma alla fine si è deciso solo per minime integrazioni, con nuove immagini della band durante le sedute di The Dark Side of the Moon. Quello che più importa è che il materiale originale in 35 millimetri è stato restaurato in digitale e oggi splende come mai prima, per una uscita limitata nei cinema e poi lunga vita nel mondo dei DVD. Si è poi deciso di pubblicare ufficialmente la colonna sonora come non era accaduto in passato (Pink Floyd at Pompeii – MCMLXXII, CD e doppio vinile), quando la fame dei fan per quel materiale era stata saziata solo grazie ai dischi clandestini. A curare restauro e remix l’inevitabile Steven Wilson, maestro ammirato e discusso di questo tipo di operazioni, rappresentante di una generazione di oggi cinquantenni che erano bambinetti ai tempi degli eventi di questa e altre favole rock.