Società

Il sogno di Marconi e le (pre)visioni di Verne

La rivoluzione senza fili, tra scienza e letteratura

  • 25 aprile, 08:12
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Di:  Lucrezia Greppi

La fede incrollabile in un sogno, l’indefessa determinazione e un pizzico di sregolatezza: Guglielmo Marconi, enfant prodige e padre ante litteram del wi-fi, rientra a pieno titolo tra le menti geniali che hanno plasmato il mondo. Lontano dai garage della Silicon Valley del futuro (dove nasceranno, grazie anche alle sue invenzioni, colossi della tecnologia come Google, Amazon ed Apple), iniziò i primi esperimenti nella soffitta di casa a Bologna, inseguendo un’idea che di lì a poco si sarebbe tramutata nella realtà in cui oggi siamo immersi.

La sensazione che un giorno avrebbe fatto «qualcosa di nuovo e di grande», avuta all’età di otto-dieci anni, e l’intenzione di voler inventare «qualcosa che avrebbe rivoluzionato il mondo», come confidava ad amici e familiari quand’era appena diciottenne, troverà concretezza un paio di anni dopo, in quel fatidico 1895. Dal suo laboratorio a Villa Griffone, dove costruì i primi rudimentali apparecchi per la trasmissione e la ricezione delle onde elettromagnetiche (la cui esistenza era stata teorizzata da Maxwell nel 1861 e dimostrata da Hertz nel 1886), riuscì ad inviare il primo segnale wireless, ricevuto dal fratello Alfonso, al di là di una collina dove aveva posizionato un’antenna. L’esperimento riuscì, il fido collaboratore lo confermò con uno sparo di fucile: era possibile utilizzare le onde elettromagnetiche per comunicare a distanza, oltrepassando anche ostacoli fisici come colline e montagne.

Quel genio di Marconi

RSI/Matteo Tacconi - Ignacio Maria Coccia 10.08.2020, 07:45

Da qui la «forte intuizione», «la visione chiara e sicura» che «le trasmissioni radiotelegrafiche sarebbero state possibili attraverso le più grandi distanze», dichiarerà lo stesso Marconi il 12 dicembre 1932, in occasione della rievocazione della prima trasmissione a grande distanza, avvenuta lo stesso giorno del 1901, quando riuscì a realizzare la «grande cosa», ovvero l’invio di un segnale wireless attraverso l’Oceano Atlantico. L’esperimento, ancora una volta, riuscì: tre brevi segnali, la lettera “s” del codice Morse, lanciati da Poldhu in Cornovaglia vennero avvertiti da Marconi al porto di St. John di Terranova, in Canada. «Era nata in quel momento la radiotelegrafia a grande distanza», aggiunge l’inventore bolognese nella citata dichiarazione, che rilasciò un anno dopo l’inaugurazione di Radio Vaticana, il primo servizio di radiodiffusione internazionale al mondo, nato il 12 febbraio del 1931.

«Con l’aiuto di Dio», afferma Marconi, «ho potuto preparare questo strumento che procurerà ai fedeli di tutto il mondo la consolazione di udire la voce del Santo Padre», Pio XI: le onde elettriche trasporteranno in tutto il mondo «la sua parola di pace e di benedizione». Per lo scienziato italiano «la comunicazione globale doveva essere uno strumento di pace»: ne è convinto Marc Raboy, che a lui ha dedicato una nuova e corposa biografia (Marconi. L’uomo che ha connesso il mondo, Hoepli, 2024), che presenterà il prossimo 25 aprile, nel giorno del 150° anniversario della nascita di Marconi, a Villa Griffone, dove tutto ebbe inizio. Un ideale, quello della radio come strumento di pace, più volte vagheggiato ma mai realizzato: se nel 1922 si dichiarava convinto che la sua invenzione fosse destinata a «promuovere la pace», due anni dopo intuì che poteva influenzare - anche negativamente, come avvenne - milioni di persone, sino a che non si chiederà nel 1934, sullo sfondo della propaganda fascista: «Ho fatto del bene al mondo, o ho aggiunto una minaccia?». Il dilemma lo insegue sino al 1937, l’anno della sua scomparsa, riflettendo su “Il futuro della comunicazione moderna” per il Chicago Tribune Forum. In quel discorso, di cui l’Archivio dei Lincei possiede la versione dattiloscritta, Marconi ribadì che la radio è «uno strumento che permette di avvicinare i popoli del mondo, di far sentire le loro voci, le loro necessità e le loro aspirazioni» e sottolineò il vero potenziale della radiodiffusione. Non la comunicazione “a senso unico”, bensì la possibilità di «scambiare comunicazioni ovunque si trovino i corrispondenti».

«Un secolo prima che figure iconiche come Bill Gates e Steve Jobs entrassero nelle nostre vite, sessant’anni prima che Marshall McLuhan proclamasse che i media sono “l’estensione dell’uomo”, troviamo Marconi. L’esplosione della comunicazione globale sarebbe stata impossibile senza di lui», scrive Marc Raboy nel volume in cui consulta, per primo, sia gli archivi italiani sia quelli americani, relativi allo scienziato italiano. «Il telegrafo, il telefono e la radio», aggiunge, «sono stati gli ovvi precursori di Internet, dell’iPod e dei telefoni cellulari». Marconi aprì la strada ad applicazioni quasi inimmaginabili, come la televisione, il fax, il Gps, i social media, i motori di ricerca e lo streaming. «Non è stato certamente il più grande inventore del suo tempo» (lo stesso Marconi dichiarò che la sua scoperta non conteneva alcun nuovo principio, ma estensioni di principi già conosciuti), ma fu il primo a concepire l’idea di «comunicazione globale». Quel che non previde, ammette Raboy, fu «il potenziale commerciale della creazione di una base di consumatori desiderosi di acquistare apparecchi di comunicazione personale».

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Ad immaginare anzitempo quel che Marconi inventò e ciò che nemmeno lui intuì furono due scrittori francesi: il celebre Jules Verne, e il meno conosciuto Albert Robida, brillante caricaturista e acquafortista. Il primo, in Paris au XXe siècle, scritto nel 1860, immagina la società parigina a distanza di cento anni: la «telegrafia elettrica» permetteva «al mittente di tenersi in contatto direttamente con il destinatario», grazie agli esperimenti di due «sperimentatori» che «corrisposero tra loro dopo aver fatto compiere il giro del mondo al loro messaggio». La «dimostrazione solenne» Verne la fa risalire al 1903 e la immagina a Londra, mancando così di pochi anni e poche miglia l’esperimento marconiano sull’Atlantico. Nel racconto fantascientifico In the year 2889, pubblicato cento anni prima – rivisto e firmato da Jules Verne ma ideato dal figlio Michel – immagina invece gli sviluppi del telegrafo: il «fonotelefoto», evoluzione a sua volta del telefono, grazie al quale «si possono trasmettere le immagini». Una preziosa scoperta che consentiva al protagonista, Francis Bennett, di vedere in diretta la moglie: «Niente di più simpatico di quel trovarsi a tu per tu, ad onta della distanza, di vedersi e di parlarsi a mezzo degli apparecchi fonotelefotici».

Un’invenzione assai simile al «telefonoscopo» immaginato da Albert Robida in Le Vingtième Siècle (1884) e La vie électrique (1890), ambientati nella Parigi della seconda metà del Novecento: una «stupefacente meraviglia» che «sopprime l’assenza», permettendo «di vedere e di udire in pari tempo un interlocutore posto a mille leghe», seguire delle lezioni online ed assistere agli spettacoli teatrali, comodamente da casa. Robida si spinse oltre, rispetto al connazionale Verne e al “nostro” Marconi, prevedendo sia la commercializzazione del telefonoscopo (accessibile solo agli abbonati) sia il sinistro potenziale di tecnologie che ancora non esistevano: «la sorveglianza facile» e la pervasività di quelle «meraviglie moderne che rendono la nostra vita così frenetica e così febbrile».

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La finestra di Villa Griffone, il laboratorio del giovane Marconi da cui partì il primo segnale wireless

  • Archivio Fondazione Guglielmo Marconi

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