Dal collaboratore RSI a Londra*
Le giornate iniziano malissimo quando uno degli sponsor (qui “partner”, noblesse oblige..) annuncia la soppressione del tradizionale brunch del sabato. Appuntamento mondano di raffinata eleganza, inspiegabilmente allargato a qualche frequentatore della sala stampa. Vili ragioni di budget sembrano aver consigliato la rinuncia a champagne e canapé. Mala tempora currunt. Opportunista non meno che famelico, il giornalista tipo recita ad arte sempre grande interesse per gli eventi pubblicitari, purché accompagnati da generose vettovaglie. La delusione è rumorosa e trasversale. Condivisa anche da chi, negli anni passati, ostentava un’indifferenza davvero poco credibile.
In questi contesti la reverenza verso gli ospiti, intesi come sponsor, può raggiungere abissi di imbarazzante ruffianeria da parte degli invitati scrocconi. La gratitudine per l’invito oltrepassa qualsiasi regola di educazione, esondando nella cerimoniosa piaggeria. Una riproposizione in chiave moderna della sudditanza signore-vassallo. La stessa subordinazione che occupa le conferenze stampa post-match. La vocazione adulatoria per i vincitori è seconda solo all’inutile crudeltà esercitata sugli sconfitti... Fedele all’adagio: “Forte coi deboli e debole coi forte”.
Fatta eccezione per il giornalista-tifoso. Che solleverebbe anche interrogativi deontologici, se non si trovasse al riparo della sala stampa di Wimbledon. Più innamorato di una groupie. Più devoto di un frate cappuccino. Assiste al match del suo eroe senza filtri, in progressiva mimesi, condividendone croce e delizia. Non c’è vittoria che non sia superlativa, memorabile. La sconfitta è sempre immeritata, casuale. La sua analisi spazia dall’agiografia alla difesa d’ufficio, l’epilogo serve solo a calibrarne il tono. Perché Roger non si discute..si ama.
*Lorenzo Amuso