Dal collaboratore RSI a Londra*
Ci sono giornalisti-tifosi e iettatori che si credono giornalisti. Professionisti dell’occhio-malocchio-prezzemolo-finocchio. Entrano in azione di solito al calar del sole (ça va sans dire), per favorire una rapida conclusione dei match ancora in corso. Con l’ausilio di amuleti più o meno improvvisati, indirizzando agli incolpevoli ritardatari i peggiori malauguri: infortuni fisici, epidemie virali, scosse telluriche. Qualsiasi cosa pur di non far tardi a cena. Oggi si sono concessi un’eccezione, anticipando i malefici servigi. D’altronde l’occasione era troppo ghiotta, addirittura imperdibile per rinunciare alla nobile arte della iattura.
Sotto due set, il Grande Antipatico barcollava pericolosamente sull’orlo del precipizio. E già la sala stampa, all'unanimità, ne pregustava l’inattesa precoce capitolazione. Perché il Grande Antipatico ha questa prerogativa, di risultare invariabilmente sgradevole. Inviso suo malgrado, insopportabile a prescindere, odioso a priori. Paga la svergognata impudenza di aver sfidato, e scalzato, il Divino. Uno sfregio alla bellezza. Imperdonabile. Così - come sempre accade - il suo avversario di giornata è stato adottato dalla simpatia generale. Sostenuto punto a punto, incitato con sincero affetto.
Entusiasmo per l’uno, macuba per l’altro: a ciascuno il suo. Una torcida scalmanata, antitesi del fair-play, di applausi e insulti, tifo e scalogna. Riti propiziatori e pratiche scaramantiche. Esorcismi e scongiuri. Fin quando il Grande Antipatico si è dovuto arrendere, sopraffatto dal maleficio che ha spinto in corridoio il suo ultimo dritto. Un’epifania, la gioia del singolo che sublima nel tripudio collettivo. Mentre un senso di nuova fratellanza si coglieva negli sguardi di chi guardava in tv l’uscita di scena del Grande Antipatico.
*Lorenzo Amuso