La Svizzera, come abbiamo riferito la scorsa settimana, intende accogliere 20 bambini feriti a Gaza e i loro accompagnatori. Alcuni cantoni, tra i quali il Ticino, sono pronti a ospitarli. Un’operazione che è coordinata con gli Stati europei e l’Organizzazione mondiale della sanità. Un anno e mezzo fa, in Svizzera un’ONG ginevrina aveva in qualche modo fatto da apripista, quando erano arrivati a Ginevra diversi bambini portati in salvo da Gaza.
Un’Odissea piena di difficoltà, lunghe trafile burocratiche per ottenere i permessi sul posto e in Svizzera e poi la lotta contro il tempo per recuperare i bambini sulla lista. Alcuni non ce l’hanno fatta ma oggi il dottor Raouf Salti, di origine palestinese, accoglie i microfoni di SEIDISERA della RSI nella clinica in cui lavora a Ginevra e dà buone notizie su quelli che ha potuto salvare. “Quattro bambini sono andati in altri Paesi europei. I 4 che sono ancora qui con le loro mamme stanno bene, le loro cure sono quasi terminate, hanno ottenuto l’asilo; due famiglie hanno il permesso B e la terza è ancora in attesa”, spiega il dottore.
Dopo mesi di incertezza hanno quindi potuto trovare in Svizzera una protezione che non era scontata. Il visto Schengen ottenuto inizialmente dal dottor Salti era valido solo tre mesi per le cure mediche. “Ci siamo chiesti cosa fare. Gli accessi a Gaza in marzo erano chiusi e anche se fossero stati aperti sarebbe stato assurdo, dopo aver curato dei bambini feriti, rimetterli sotto le bombe”, spiega.
Nessun Paese sollecitato dal dottor Salti, era disposto a farsene carico. Da qui la richiesta d’asilo, che ha rischiato di costare caro in termini finanziari al medico, garante per le famiglie. Famiglie che è stato necessario seguire passo passo. “Difficoltà che ho scelto di assumermi. Seguire un bambino ferito comporta tutto l’iter medico ma anche trovare una famiglia ospitante. C’è l’aspetto psicologico, le cure a medio termine. L’ONG era ben organizzata ma avevo una famiglia. Ne ho aggiunte altre 8”.
Famiglie traumatizzate, in piena incertezza e sottoposte a costanti sollecitazioni dalle notizie provenienti dal loro Paese. “Sono in contatto permanente con quanto succede laggiù. E poi c’è l’informazione. Poiché hanno lasciato la famiglia a Gaza, sono straziati. Come la mamma con un figlioletto rimasto a Gaza che le dice al telefono: “mi manchi”. E in sottofondo si sentono i bombardamenti”.
È passato più di un anno e mezzo dall’arrivo del secondo gruppo. Ora sono le autorità svizzere che prendono l’iniziativa di accogliere 20 bambini, inserendo questa volta le famiglie prescelte direttamente in una procedura d’asilo. Come vede questa iniziativa il dottor Salti? “Magnifico. Sono contento, anche se è un poco tardi non è mai troppo tardi per fare bene”. E aggiunge che, data l’esperienza con la sua ONG, si mette a disposizione dello Stato. Insieme, dice, si può andare più lontano.
In questi due anni solo 350 persone provenienti da Gaza sono state accolte in Europa.