Svizzera

Niente “Lex Cina”, forse

Il Consiglio federale ha deciso di non introdurre controlli sistematici sugli investimenti esteri in Svizzera – Sollevate le associazioni economiche, ma in Parlamento tutto resta aperto

  • 11.05.2023, 13:02
  • 20.11.2024, 11:20
02:23

RG 12.30 del 11.05.2023 - Il servizio di Gianluca Olgiati

RSI Info 11.05.2023, 12:25

  • archivio keystone
Di: RG-Olgiati/dielle 

Il Consiglio federale ha deciso mercoledì di non introdurre controlli sistematici sugli investimenti esteri in Svizzera. Se le associazioni economiche si dicono sollevate, a livello politico la partita non è ancora chiusa e si prospetta un braccio di ferro tra Governo e Parlamento – dove potrebbe esserci una maggioranza favorevole – su quella che viene definita "Lex Cina".

L'esempio forse più eclatante è quello del gruppo agrochimico basilese Syngenta, finito nelle mani di un colosso statale cinese, ma poi ci sono anche le società di servizi aeroportuali SR Technics, Gategroup e Swissport, rilevati da una società cinese. Gruppi stranieri che investono in società svizzere, e nel know-how svizzero, una strategia mirata secondo il consigliere agli Stati del Centro Beat Rieder. “Il rischio è di diventare sempre più dipendenti da altri Stati e da gruppi stranieri che rilevano società centrali per l'approvvigionamento della Svizzera” ha dichiarato a Radio SRF.

00:44

Syngenta dice sì a ChemChina

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Il senatore vallesano Beat Rieder è il padre politico della cosiddetta “Lex Cina”, capace di convincere il Parlamento della necessità di introdurre un obbligo di verifica sugli investimenti stranieri. Piani però ora respinti dal Consiglio federale che, dopo aver sentito associazioni economiche, cantoni e partiti è giunto alla conclusione che un obbligo di verifica indebolirebbe la piazza economica. L’Esecutivo propone in alternativa di limitare le verifiche ai casi dove vi sono davvero potenziali rischi, quelli cioè di investimenti da parte di società straniere controllate dallo Stato in settori critici per la Svizzera, come gli armamenti, la produzione elettrica, le infrastrutture sanitarie o le telecomunicazioni.

Una proposta ingenua, sempre secondo Rieder: “In certi Stati non è possibile fare questa distinzione tra aziende statali e private e i grossi investimenti all'estero sono sempre accordati con lo Stato”.

Economiesuisse con il Governo: "Rischio contromisure, meglio valutare caso per caso"

Non la vede allo stesso modo l'associazione mantello dell'economia Economiesuisse, come detto sollevata dalla decisione del Consiglio federale. Per Jan Atteslander, membro della direzione, le autorità dovrebbero infatti valutare caso per caso ed “essere particolarmente attente laddove entrano in gioco aziende parastatali in settori critici per la Svizzera”.

Per l’associazione con dei controlli sistematici ci potrebbe essere il rischio di incorrere in contromisure: “Questo nel caso in cui si discriminino aziende private – sottolinea Atteslander – mentre se ci si limiterà ai settori sensibili non succederà un gran che, visto che al momento non ci sono tentativi di rilevare queste società svizzere”.

Economiesuisse ritiene infine che le priorità per quanto riguarda le attività straniere sarebbero altrove, ad esempio combattere la cybercriminalità e difendere la proprietà intellettuale.

Il consigliere agli Stati Rieder non si dà però per vinto, forte del sostegno che la sua idea di “Lex Cina” ha trovato tra i partiti sinistra e del centro. È possibile dunque che il Parlamento smentisca ancora una volta il Consiglio federale.

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Più controlli per le aquisizioni delle aziende elvetiche

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