È giunta ormai alle battute finali l’inchiesta sulla morte del 40enne che il 5 febbraio 2019, ad Airolo, fu travolto da un treno TiLo mentre stava ispezionando la linea ferroviaria assieme a un altro operaio.
Nei mesi scorsi la procuratrice Marisa Alfier ha intimato la chiusura dell’istruzione, e giovedì pomeriggio si è svolto il primo dei verbali chiesti dalle parti in vista della decisione finale. A confronto sono comparse le quattro persone contro le quali è stato ipotizzato, già in avvio di indagine, il reato di omicidio colposo: il collega della vittima, il coordinatore della sicurezza, il direttore della sicurezza e la capomovimento.
Per la donna Alfier ha prospettato l’abbandono del procedimento penale. Per gli altri tre l’intenzione di promuovere l’accusa. Accusa di cui – è emerso sempre venerdì – dal 2021 devono rispondere anche il superiore dei due operai e un capo team attivo nell’ambito della sicurezza ferroviaria.
Il numero degli imputati è dunque salito a sei; fermo restando che, come detto, per uno di loro si profila il proscioglimento. Tutti respingono gli addebiti. A cominciare dai quattro sentiti ieri, che hanno ribadito la propria posizione su quanto accaduto quella mattina, durante la riunione tenutasi poco prima dell’incidente.
Certo è che, come sottolineato nel 2020 dal Servizio d’inchiesta svizzero sulla sicurezza (SISI), all’origine della disgrazia ci fu un errore umano. I due collaboratori erano convinti che il binario su cui stavano lavorando con un veicolo di servizio fosse stato chiuso. In realtà non lo era. Vennero commessi degli sbagli nella comunicazione e nel processo di sbarramento, oltre ad altre imprecisioni – ha concluso il SISI – legate al dispositivo di sicurezza.