Arte

C’è fermento sotto il cubo rosso

Nel decimo anniversario della Fondazione Ghisla Art Collection di Locarno, una mostra sul rapporto tra arte italiana e americana del dopoguerra che mette in luce affinità e reciproche influenze

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  • Ieri, 16:51
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La Ghisla Art Collection a Locarno

Di: Raffaele Pedrazzini 

Alla Fondazione Ghisla Art Collection di Locarno si può visitare la mostra In Between - Arte Italiana e Americana dalla Collezione di Martine e Pierino Ghisla. L’esposizione è a cura di Federico Sardella.

Composta da una selezione di oltre sessanta opere della collezione di Martine e Pierino Ghisla, la temporanea non segue una struttura cronologica o di movimento, ma s’articola come un intreccio di relazioni e rimandi tra artisti appartenenti a contesti geografici differenti, spesso tuttavia uniti da comuni tensioni estetiche e concettuali. Il vero cuore dell’esposizione non è però solo formale o concettuale: è il risultato di un dialogo a più voci, quello tra il curatore, Federico Sardella, e i coniugi Ghisla, tra le opere e il complesso museale, tra l’occhio esperto e la volontà di raccontare un collezionismo vivo.

L’allestimento si apre con opere apparentemente distanti per origine e linguaggio ma che condividono una riflessione sullo spazio come entità da plasmare o attraversare. La prima sala è stata infatti concepita per attivare dialoghi inaspettati: è il caso, ad esempio, del confronto tra la fisicità di un’opera monumentale su carta di Richard Serra, il disordine contenuto delle strutture sovrapposte di Frank Stella, i “tagli” metafisici di Lucio Fontana e l’interattività dei lavori di Grazia Varisco degli anni Sessanta. Le linee aeree e non intelaiate di Giorgio Griffa chiudono idealmente la sala con un gesto minimale che dialoga con la leggerezza.

Il percorso espositivo prosegue affrontando la questione della materia in senso più radicale, attraversando territori comuni come l’arte povera. In una delle sale più dense, opere di artisti italiani che hanno lavorato con materiali residuali o di scarto, conversano con artisti americani che hanno similmente ridefinito i confini dell’opera d’arte attraverso l’uso di oggetti, legni, ferri, piombo e vetro. Qui, l’opera non è più solo rappresentazione ma abita lo spazio con un’importante sua fisicità, come ad esempio nell’installazione di Jannis Kounellis con corvi impagliati collocata a prossimità della forma ancora-quadro di Salvatore Scarpitta.

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La seconda sala, con al centro l’opera di Jannis Kounelis

  • Foto: Ghisla Art Collection

Al secondo piano, il rapporto tra astrazione lirica unisce artisti come Sam Francis e Cy Twombly alle ricerche italiane di Piero Dorazio. Il lavoro di Mario Schifano si collega alle sperimentazioni di Tom Wesselmann e Andy Warhol (di quest’ultimo è esposto un ritratto di Jean Cocteau, non in serigrafia, bensì, un atipico, e raro, assemblaggio di cartoncini colorati poi disegnati in matita grasse e pastello) attraverso una riflessione sulla riproducibilità delle immagini e sulla contaminazione tra arte alta e cultura popolare. Il gioco ironia-critica sociale è evidente nel confronto tra Enrico Baj e Jean-Michel Basquiat, entrambi capaci di tradurre l’inquietudine del loro tempo in un linguaggio fortemente espressivo. Un altro punto di incontro tra le due tradizioni si ritrova nelle opere di Giosetta Fioroni e un coloratissimo Tom Wesselman, cui approccio alla figura umana è caratterizzato da una sintesi tra riferimenti classici e un’estetica atta a giocare con la distorsione e l’alterazione dell’immagine.

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La settima sala della mostra, in cui si scorge il lavoro di Sam Francis e Cy Twombly

  • Foto: Ghisla Art Collection

La parte conclusiva dell’esposizione si apre con una sala dal titolo emblematico: “verso l’infinito”. Qui, come anche ci racconta Sardella, il percorso si fa più rarefatto e concettuale. Le opere in mostra abbandonano progressivamente la narrazione e il segno pittorico per affrontare una riflessione squisitamente spaziale e geometrica. In un suggestivo omaggio al quadrato e alla superficie, si alternano lavori che oscillano tra astrazione totale e tensione architettonica, dove le geometrie minime si confrontano con l’espansione cromatica (Mario Nigro, “Spazio totale” o uno spettacolare lavoro di Dadamaino, intitolato “Il movimento delle cose” del 1996), le diagonali con la modulazione dei volumi (Enrico Castellani e Agostino Bonalumi, in particolare). La presenza dell’opera “Verso l’infinito” (un monolitico metallico posto a terra) di Giovanni Anselmo su cui è inciso il simbolo dell’infinito e una freccia, introduce il tema della soglia, quindi del confine tra oggetto e ambiente, che fa poi da eco alle altre opere esposte.

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L’ultima sala dell’allestimento, con al centro il lavoro di Enrico Castellani

  • Foto: Ghisla Art Collection

Se l’allestimento sfugge alle etichette, generando cortocircuiti visivi e concettuali, di certo non pretende di raccontare una storia dell’arte, ma di lasciar parlare le opere tra loro, e con loro lo spettatore, elevandoli a interlocutori, appunto, per raccontarne una sua infinitesima parte.

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Voci dipinte 04.05.2025, 10:35

  • TiPress
  • Emanuela Burgazzoli

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