Nel corso dell’ultima settimana ho trascorso diversi giorni in ospedale, per curare un’infezione procurata dalla puntura di un ragno. Dopo varie somministrazioni di antibiotici in pillole e poi per via endovenosa, si è dovuto intervenire chirurgicamente.
Durante questo periodo, ho cercato conforto nella lettura di un saggio a cui non avevo più portato gli occhi da lunghi anni: Il silenzio del corpo di Guido Ceronetti. Non tanto nell’illusione che il dolore potesse placarsi attraverso le dotte speculazioni del piemontese, ma perché sapevo che in Ceronetti il rapporto con il dolore e la malattia rifiuta il filtro delle sovrastrutture mediche più scientiste e lo riporta nell’alveo della sua esperienza umana fondamentale: quella dell’ineluttabilità.
Più ancora dei molti spunti presenti in quel libro, ho ritrovato però il sollievo che cercavo nei pochissimi interventi di Ceronetti che si possono reperire su Internet. Allora mi sono reso conto che la sua posizione – per quanto tutt’altro che consolatoria – è davvero una delle poche in grado di nobilitare il dolore dal suo stato di anomalia al suo stato – in un certo senso paradossale – di sublimità.
La lettura di un suo frammento da parte di Karl Esse val bene essere riportata per esteso come sintesti di questo pensiero a suo modo primitivo e antimoderno. Dice Ceronetti: La conoscenza, non del mistero della malattia, ma di un’infinità di cause e processi morbosi, ha cancellato quasi tutto quello che rendeva l’uomo superiore alla malattia patita, per mezzo dell’immaginazione e della forza morale che adesso restano soffocate dall’imparaticcio medico, grande e corrosivo Spirito che deprime. Scoprire che il medico non è un Dio fa soffrire, perché non riusciamo ad abbandonare l’idea di un Dio guaritore e amico sopra di noi. L’idea di avere un Dio come causa del proprio disfacimento, è un’eziologia sublime, che innalza l’uomo al di sopra del suo letto di tortura e lo rende, nel momento della sua più grande miseria, divino.
Questa parole, straordinarie, che ribaltano nel proprio contrario ogni approccio corporalista e materialista alla sofferenza, sono panacee che valgono più di una provvisoria consolazione dal proprio dolore privato. Sono un invito a riscoprire la grandezza umana addirittura nel fondo più abissale della sua miseria e lacerazione.
Ma c’è un altro intervento, molto breve, che ci insegna in poche frasi come noi siamo passivamente asserviti al sistema dell’economia – e quindi anche della scienza medica, che lo promuove e difende occultando l’immediatezza del dolore – fino al punto da non rispettare più nulla della normalità della Natura, che tra le sue leggi annovera appunto quella imprescindibile della sofferenza. Dichiara Ceronetti:
Quando si parla di economia, chiudo la mia radiolina: è perfettamente inutile che stia ad ascoltare. Anzi, sono un resistente, in questo senso: resisto all’asservimento all’economia. E quindi un modo di non servirla è di non ascoltarla, di non crederci. Io non credo alla crescita, figuriamoci!
Incontro con Guido Ceronetti
RSI Cultura 17.08.2024, 13:07
A questi due video non poteva naturalmente non accompagnarsi la “storica” intervista di Michele Fazioli a Ceronetti del 2005. Anche in questa il “pessimismo della ragione” ha molte perle da regalare: prima fra tutte quella che stigmatizza l’assoluta subordinazione dei destini umani e quelli della tecnica, che nel quadro del nostro discorso non è che un’ennesima esortazione a non immaginare che frapporre tra noi e la realtà del dolore le sovrastrutture della tecnica possa salvarci da noi stessi:
Tutto il corso dell’evoluzione tecnica, a partire dal fuoco di Prometeo, è un lungo percorso, probabilmente, per arrivare a schiavizzare totalmente l’essere umano. Ma almeno, in questo potere totalitario, conservare pura la mente... questo lo possiamo fare.
Ed è precisamente in questo senso – e in molti altri – che a fronte del mio personalissimo e modesto dolore ho potuto ripetermi, se non altro ripetermi, che la sofferenza è parte della vicenda umana. E che pretendere di ritenerla una anomalia è l’atto di immodestia e impurità più prossimo alla tracotanza che si possa immaginare.