filosofia

Etty Hillesum

La forza di Dio rende vano anche l'orrore più atroce

  • 15 gennaio, 10:22
  • 15 gennaio, 14:47
Etty Hillesum
Di: Mattia Cavadini

Etty Hillesum (nata il 15 gennaio 1914) muore nel campo di concentramento di Auschwitz il 30 novembre 1943. Muore che non ha ancora trent’anni.

Ebrea olandese, studia a Deventer, nel liceo dove il padre insegna Lingue classiche. Nel 1932 si trasferisce ad Amsterdam dove svolge controvoglia un impiego amministrativo presso il Consiglio Ebraico. Questo lavoro la esenta (al divampare della guerra) dall’internamento nel campo di concentramento Westerbork. Un privilegio che Etty non tollera. Chiede di poter andare nel campo per occuparsi dei malati. Afferma di voler affrontare il destino che il popolo ebraico è costretto a subire. Entra a Westerbork come assistente sociale. Ogni martedì mattina guarda partire un treno carico di uomini, donne e bambini, destinati all’inferno.

Con la fine dello statuto speciale di rappresentante del Consiglio Ebraico Etty si ritrova prigioniera nel campo di Westerbork. Il giorno della sua deportazione ad Auschwitz lascia cadere dal treno una cartolina indirizzata all’amica Christine van Nooten, con scritto: Abbiamo lasciato il campo cantando, papà e mamma molto forti e calmi, e così Misha. Viaggeremo per tre giorni. Arrivederci da noi quattro. Morirà pochi giorni più tardi.

La vicenda di Etty Hillesum, sepolta per 40 anni nell’oblio, risorge alla storia nel 1980, quando all’editore e studioso olandese Gaarland giungono otto quaderni scritti con una grafia minuta, pressoché illeggibile. Si tratta del Diario che Etty scrive a partire dal marzo del ‘41 nel campo. Quei quaderni, dalla fine della guerra, passano tra le mani di vari editori che non si accorgono della reliquia che si trovano a maneggiare. Gaarland lo pubblica e consegna ai posteri uno dei documenti più intensi e vibranti del Ventesimo secolo. Al Diario, che verrà tradotto in 14 paesi, seguiranno le Lettere (in Italia editi entrambi da Adelphi), suscitando un interesse internazionale, simile a quello che suscitarono gli scritti di Anna Frank, con la differenza che qui l’autrice è una donna matura, con alle spalle un solido percorso esistenziale e spirituale.

Nelle pagine di Etty, infatti, non c’è solo la descrizione dell’accerchiamento/persecuzione/annientamento di un popolo, ma c’è anche, e soprattutto, la consapevolezza di qualcosa di più grande, che trascende il destino umano (con la sua sofferenza) e la dimensione storica (con i suoi orrori).

Di fronte agli scritti di Etty Hillesum si ha la sensazione da un lato di trovarsi a contatto con una testimone essenziale di quello che è stato il male assoluto, e dall’altro di assaporare qualcosa di così prezioso che rende irrilevante anche questo male. Tra le pagine dei suoi libri sembra infatti di sentire una voce irrecusabile, una presenza d’amore così totale che preserva la stessa autrice dal suo destino di persecuzione e morte. Cos’è questa presenza? Etty non ha dubbi: la prima parola che mi viene in mente, sempre la stessa, è Dio. Contiene tutto e rende inutile tutto il resto.

Grazie a Dio, che la abita interiormente (rendendo vacua anche la crudeltà più atroce), Etty scrive frasi sante sulla necessità dell’amore (e questo mentre sta per essere deportata all’inferno):

«A ogni nuovo crimine o orrore dovremo opporre un nuovo pezzetto di amore e di bontà che avremo conquistato in noi stessi. Possiamo soffrire ma non dobbiamo soccombere».

«Se anche non rimanesse che un solo tedesco decente, quest'unico tedesco meriterebbe di essere difeso contro quella banda di barbari, e grazie a lui non si avrebbe il diritto di riversare il proprio odio su un popolo intero. […] L'odio indiscriminato è una malattia dell'anima, odiare non è nel mio carattere».

«E se sopravvivremo intatti a questo tempo, corpo e anima ma soprattutto anima, senza amarezza, senza odio, allora avremo anche il diritto di dire la nostra parola a guerra finita».

«Dio non è l’artigiano del mondo. Non l’ha fabbricato come un orologiaio costruisce un orologio. Non costruisce qualcosa di precostituito. Al contrario si ritira perché gli esseri che egli genera si alzino da sé e grazie a se stessi. Se Dio intervenisse perché fossero evitate le incertezze, i disordini, le resistenze dell’inerzia, i maremoti, le epidemie, il mondo sarebbe per lui come un oggetto da manipolare (…). Dio non ama come vorremmo che amasse, quando proiettiamo in lui i nostri sogni».

«Cercherò di aiutarti affinché tu non venga distrutto dentro di me.... Una cosa, però, diventa sempre più evidente per me, e cioè che tu non puoi aiutare noi, ma che siamo noi a dover aiutare te, e in questo modo aiutiamo noi stessi. L'unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l'unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio. E forse possiamo anche contribuire a disseppellirti dai cuori devastati di altri uomini».

«Una volta, se mi piaceva un fiore, avrei voluto premermelo sul cuore, o addirittura mangiarmelo. La cosa era più difficile quando si trattava di un paesaggio intero, ma il sentimento era identico. Ero troppo sensuale: vorrei quasi dire troppo ‘possessiva’; provavo un desiderio troppo fisico per le cose che mi piacevano, le volevo avere».

Grazie a Dio, Etty non cede al sentimento umano, troppo umano dell’odio.

Grazie a Dio, Etty perdona allo stesso Dio la sua indifferenza, il suo non prendere parte alla storia, il suo essere totalmente Altro, incondizionato, al di là del bene e del male, dell’umano e del disumano.

Come Gesù, che morendo nel più estremo abbandono si abbandona al Padre, così Etty, nell'inferno del Lager, afferma: Mio Dio, se esisti, io ti perdono, non lasciandosi offuscare dai sentimenti dell’odio e della vendetta e tenendo viva, nel proprio intimo, la presenza vibrante di Dio.

Questo dialogare con Dio, questo accudirlo e tenerlo vivo dentro di sé, e d’altro canto l’accettare il dolore della storia, rifiutando di combattere la persecuzione nelle forme dell’odio e della rivolta, non nascono in Hillesum per caso.

Etty Hillesum: operatrice di pace

RSI Dossier 25.09.2018, 07:56

La sua equanimità, la sua devozione conflagrano durante l’internamento nel campo di concentramento, ma nascono dopo un’adolescenza turbolenta, segnata da due storie d’amore con uomini più anziani di lei, che la inducono a riflettere sul sentimento amoroso, inteso non come eros ma come agape, non come possesso, ma come apertura, devozione, come un essere-per-l’altro.

Etty, nella sua giovinezza, si accompagna dapprima al contabile Han Wengerif, ma è soprattutto l’incontro con lo psicochirologo Julius Spier a segnarne la crescita. Spier l’avvicina alla psicologia junghiana, al testo biblico, a Sant’Agostino; le consente di penetrare l’opera di Rilke e Dostoevskij. Etty ne diviene paziente, segretaria, amante e amica. Ed è su suo consiglio che Etty avvia un lavoro di introspezione e inizia a compilare il proprio diario. Spier la invita a fare un percorso di spossessamento e superamento dell’io, di cui abbiamo traccia in questo lucidissimo passaggio:

«Liberarsi dai sentimenti del possesso e dalla gelosia – mostri adolescenziali– è il primo passo verso un’emancipazione da altri sentimenti quali l’odio e la vendetta».

Questa emancipazione dai sentimenti dell’io è il preludio verso un’apertura incondizionata all’altro. Altro che dapprima assumerà i connotati umani (allorché Etty si dedicherà all’assistenza nel campo di concentramento di Westerbork) e poi assumerà i connotati di Dio, con il quale intratterrà un dialogo ininterrotto: La mia vita non è altro che un lungo dialogo con te. Un dialogo in cui la Hillesum non mostra mai rabbia né incomprensione. Nonostante il Male serpeggi ovunque, Etty non se la prende mai con Dio per la sua lontananza e il suo silenzio. Del resto, Etty, come i grandi mistici, è convinta che non sia Dio a dover difendere gli uomini dal male, ma gli uomini a doverlo eradicare da loro stessi, preservando Dio da questa realtà umana, troppo umana per offuscarne il Suo splendore.

Ti potrebbe interessare