Diecimila persone uccise in confronti con le forze dell’ordine negli ultimi dieci anni, una media di tre morti al giorno e solo nel 3% dei casi viene aperta un’indagine, a cui fa seguito un processo. È uno scenario da guerra civile quello in cui vive lo Stato di Rio de Janeiro, 16 milioni di abitanti, fra i più violenti del Brasile, in un contesto turbolento che sta registrando negli ultimi tempi momenti di particolare tensione a causa del difficile equilibrio nelle favelas recuperate dalla polizia nell’ambito della cosiddetta “pacificazione” armata.
L’ordine degli avvocati di Rio de Janeiro e numerose ONG denunciano una pratica diffusa e tollerata dalle autorità; le vittime spesso sono innocenti caduti per caso nel mezzo di conflitti a fuoco tra gli agenti e le bande di narcotrafficanti o perché sono scambiate per altre persone, l’unica versione è quella della polizia, che impedisce quasi sempre la verifica delle responsabilità. Vittime invisibili, senza possibilità di giustizia.
Il caso di Amarildo da Sousa
Alla Rocinha, la più grossa favela del Sudamerica, che si trova incastrata tra le montagne e il mare proprio vicino al lussuoso quartiere di Sao Conrado, il caso più conosciuto venuto a galla ultimamente è stato quello del muratore Amarildo da Sousa, scomparso ad agosto dopo esser stato prelevato dagli agenti in pieno giorno e portato in commissariato. Solo dopo settimane di proteste e mobilitazioni della società civile, la sua vicenda è stata al centro di diverse manifestazioni di piazza, la magistratura ha potuto ricostruire la dinamica del caso arrivando alla conclusione che la vittima, il cui corpo non è mai stato ritrovato, è morto a seguito delle torture praticate dagli agenti. Dodici poliziotti della UPP, la forza pacificatrice installata nella favela dal 2010, sono stati arrestati e sono ora in attesa di giudizio.
Gli abitanti della Rocinha, così come quelli di molte altre favelas della città carioca, chiedono ora una revisione completa dei metodi e della composizione delle forze di polizia, considerati oppressivi e lontani all’obbiettivo dichiarato al momento dell’occupazione e della cacciata dei narcotrafficanti: portare la pace in zone da sempre attraversate dalla violenza.
di Emiliano Guanella
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