L'esercito italiano non fa il necessario per tutelare la salute dei soldati. È una delle conclusioni a cui è giunta la quarta Commissione parlamentare istituita per indagare sui nessi tra l'esposizione all'uranio impoverito e le gravi forme di tumore sviluppate dai militari. Il rapporto, presentato mercoledì, parla anche di "negazionismo" da parte dei vertici della Difesa.
Le inchieste, partite nel 2000, hanno riguardato inizialmente i soldati italiani in missioni nei Balcani, poi il campo si è via via allargato, includendo altri terreni operativi soprattutto all'estero. Secondo l'Osservatorio militare, un'associazione che tutela i soldati, sarebbero circa 350 i militari morti per l'esposizione all'uranio impoverito e 7'000 quelli malati.
Ma gli esperti non sono concordi sul nesso di causa e effetto tra la sostanza debolmente radioattiva, utilizzata in alcuni tipi di munizioni, e i tumori rari.
Facendo leva su queste divergenze l'esercito italiano ha respinto fermamente le accuse della Commissione che nel suo rapporto, non solo ha ribadito il nesso tra l'esposizione all'uranio impoverito e i tumori, ma ha anche affermato di aver scoperto "sconvolgenti criticità" nella protezione della salute dei militari "in Italia e nelle missioni all'estero" e non solo per l'uranio.
Secondo la commissione, in marina vi sarebbero ad esempio 1'100 casi di tumori dovuti all'amianto. Finora la giustizia ha più volte dato ragione a militari che hanno chiesto risarcimenti per le malattie contratte. Il rapporto, frutto di un'inchiesta durata due anni, dovrebbe ora permettere ai militari malati di ottenere più agevolmente giustizia.
RG/eb