Mentre Francia, Regno Unito e Canada parlano di situazione intollerabile, azioni atroci e chiedono al Governo israeliano di agire immediatamente per permettere aiuti umanitari, la Svizzera ribadisce la sua “profonda preoccupazione” e chiede a Israele di rispettare il diritto umanitario. Per i critici, parole troppo poco esplicite.

Evelyne Schmid è docente di diritto internazionale presso l'Università di Losanna
Ma quanto contano queste dichiarazioni? E quali sono gli obblighi di un paese come la Svizzera (quindi non coinvolto direttamente) di fronte alla catastrofica situazione a Gaza? RSI ha intervistato Evelyne Schmid, professoressa di diritto internazionale all’università di Losanna.
“Le dichiarazioni ufficiali contano molto. Il diritto internazionale non stabilisce quali parole uno Stato debba usare, ma è importante ciò che dice, con quale enfasi, se lo fa d’accordo con altri Paesi, e su quali aspetti invece tace.”
Al di là delle parole però ci si aspetta un cambiamento sul terreno, un miglioramento per la gente che soffre...
“Certo, è giusto. E un Paese terzo non coinvolto - come la Svizzera - deve chiedersi quali opzioni ha a disposizione. Sono contenta che la Svizzera abbia affermato chiaramente che Israele deve rispettare il diritto internazionale umanitario, che ha degli obblighi verso la popolazione di un territorio che occupa. Ma ci dobbiamo chiedere: è sufficiente? L’ha già detto tempo fa, ma da 19 mesi la situazione a Gaza resta terribile. Evidentemente questi appelli non sono sufficienti. Lo dimostrano i fatti: la gente muore di fame, i malati e feriti non vengono curati. Di fronte a una situazione del genere bisogna fare di tutto, sfruttare al massimo i mezzi a propria disposizione.”
Ma cosa si può immaginare? Sanzioni, stop alla vendita di armi o quali altre misure?
“Non sta a me, da accademica, suggerire misure. Al Dipartimento degli affari esteri ci sono esperti altamente competenti. La gamma di misure è ampia, dalla diplomazia alle collaborazioni scientifiche, culturali, tecnologiche. Non è mio compito suggerirne una. Mi sento però di dire una cosa: mi colpisce il silenzio della Svizzera su questa nuova fondazione privata, usata come strumento da Israele per controllare gli aiuti umanitari. Uno sviluppo molto problematico, perché si mischiano azioni umanitarie con obiettivi militari. L’aiuto non sarebbe più imparziale. È molto problematico, e la Svizzera non dice niente.”
Perché è così rilevante questo punto? E perché conta così tanto la posizione svizzera?
“Con questa idea Israele può controllare le persone in modo quasi distopico: è previsto il riconoscimento facciale, e permette di stabilire chi riceve quali aiuti, dove e quando. Israele così può controllare i flussi di popolazione. Ciò non è compatibile col diritto internazionale. Potrebbe essere un precedente, replicato poi ad esempio in Sudan o altre zone, modificando i principi dell’aiuto umanitario in futuro. La Svizzera è toccata per due aspetti: è lo Stato depositario delle Convenzioni di Ginevra che regolano il diritto umanitario, e la fondazione in questione è basata anche a Ginevra. Ciò rende la faccenda, molto, molto, molto problematica.”
Quali sono gli obblighi, fissati dal diritto internazionale, per un Paese come la Svizzera, in questa situazione?
“Di fronte a gravi violazioni del diritto internazionale tutti i Paesi hanno degli obblighi, non solo la Svizzera. Siamo di fronte a crimini che turbano profondamente la coscienza dell’umanità (secondo la definizione dello Statuto di Roma, ndr). E poi la presenza di Israele a Gaza è illegale, lo ha stabilito la Corte internazionale di giustizia. Sono violazioni gravi. In questi casi il diritto internazionale dice tre cose ai Paesi terzi come la Svizzera. Primo: non possono riconoscere le violazioni, ad esempio legittimando l’occupazione. Secondo: non devono fare nulla che possa mantenere e prolungare questa situazione. E terzo: devono cooperare con altri Stati per porre fine alle gravi violazioni. La passività di Berna sulla fondazione che citavo potrebbe avere un peso sugli ultimi due punti. Perché questo meccanismo, che permetterebbe a Israele di controllare la distribuzione di aiuti, potrebbe essere considerato un metodo che prolunga le violazioni del diritto internazionale. In quel caso la Svizzera sarebbe obbligata a non legittimare questo canale di distribuzione.”
Sta dicendo che la Svizzera potrebbe avere problemi di fronte alla giustizia internazionale in futuro?
“Parlando di responsabilità degli Stati terzi, al di fuori di un conflitto, c’è una risposta legale e una morale. Entrambe molto complesse. Si può essere denunciati da altri Stati, come ha fatto il Nicaragua contro la Germania per il suo sostegno a Israele... Il procedimento è in corso, per valutare una co-responsabilità. L’aspetto morale attende invece il giudizio della storia. Anche gli Stati terzi hanno una responsabilità, se sono consapevoli di una sofferenza assolutamente catastrofica e avrebbero la possibilità di influenzarla, ma non la sfruttano.
Su quali accordi internazionali si basano questi obblighi e principi?
“C’è lo Statuto di Roma che definisce i crimini contro l’umanità, di guerra, e il genocidio. C’è poi un documento separato che regola le responsabilità degli Stati, i cui articoli sono però vaghi. Significa che ogni Stato ha un grande margine di manovra. Comunque, ogni Paese deve seriamente valutare dove può influire o fare la differenza per mettere fine a violazioni del diritto internazionale.”