Varie ONG svizzere tornano alla carica per spingere l’Azienda elettrica ticinese (AET) a lasciar cadere la causa di risarcimento che ha aperto in Germania, per contestare l’abbandono del carbone in questo Paese entro il 2028. Due anni fa, infatti, AET aveva sporto denuncia per la chiusura della centrale di Lünen, di cui detiene una partecipazione. Questa causa, ricordiamo, è resa possibile da un trattato firmato da vari Paesi, nel 1994: la Carta dell’energia che, in materia, protegge gli investimenti stranieri. Le cause finiscono così di fronte ad un tribunale arbitrale che può condannare uno Stato a indennizzare l’investitore che ha perso dei soldi.
Anche il WWF è fra le organizzazioni che, alla luce delle cifre emerse, tornano a chiedere all’azienda un passo indietro. “Ci sono adesso le cifre avanzate da AET e questo ci fa gridare allo scandalo perché, a fronte di un investimento di poco più di 23 milioni di euro, l’azienda chiede allo Stato tedesco un risarcimento di 85,5 milioni più gli interessi”, commenta il coordinatore di WWF per la Svizzera italiana Francesco Maggi. La richiesta d’indennizzo, spiega, si basa su una durata di vita della centrale di Lünen fino al 2053, quando invece AET “dovrebbe, per votazione popolare, vendere la sua partecipazione al più tardi entro il 2035”, ossia solo 3 anni dopo il termine stabilito dal Governo tedesco.
Da due anni il WWF accusa di fatto AET di sabotare la politica climatica. Ma se l’azienda non si è tirata indietro in questo biennio, perché dovrebbe farlo ora? “Per la sua stessa immagine”, risponde Maggi, osservando che se la causa in questione dovesse portare il Governo a decidere di tornare sui suoi passi, e a non uscire dal carbone, ciò “avrebbe sicuramente un’eco mediatica addirittura europea, se non mondiale”. La notizia esplosiva sarebbe quella di “un’azienda pubblica svizzera che mette in crisi l’Accordo di Parigi e le politiche climatiche”.
Per parte sua AET non conferma invece le cifre, anche perché non rilascia dichiarazioni con la causa in corso.